19/02/12

Brian Selznick e Martin Scorsese, THE INVENTION OF HUGO CABRET


[Merry-go-round evoking the past in Paris. Foto Rb]


Brian Selznick, THE INVENTION OF HUGO CABRET, Londra, Scholastic, 2007. Versione cinematografica: regia di Martin Scrosese, con Asa Butterfield, Sacha Baron Cohen, Ben Kingsley, Chrstopher Lee, Chloë Grace Moretz, Emily Mortimer, Ray Winstone


Nato nel 1966, Brian Selznik è illustratore e autore di libri per l’infanzia [1]. L’INVENZIONE DI HUGO CABRET si compone di scrittura e di immagini in bianco e nero, concepite come nei libri di fiabe per accompagnare il testo, ma disposte in varie serie in modo tale da costituire raggruppamenti successivi, come stills di una pellicola cinematografica, o fotosequenze, che talora sottolineano e talora sostituiscono il testo scritto contribuendo a farlo avanzare.

Si tratta, non solo nella concezione narrativa (lungo per numero di pagine, ma conciso nelle sezioni scritte in linguaggio alfabetico), ma anche nelle tematiche e nell’intreccio, di un libro per ragazzi di impostazione classica, nel senso che sa parlare a questo gruppo d’età persuadendo al contempo un pubblico adulto, e di taglio sperimentale privo di pesantezza, fondato su riferimenti metatestuali soprattutto a Dickens e a Méliès, il quale ultimo è in effetti, come risulta dalla seconda parte della storia narrata, il coprotagonista assieme al ragazzo da cui prende il titolo il volume.

In breve, Hugo Cabret, orfano di madre, ha perso il padre orologiaio e cerca di riparare un automa capace di scrivere che il genitore aveva trovato. A seguito di vari indizi, si viene infine a sapere che l’inventore dell’automa era il cineasta George Méliès. Questi ora vive oscuramente; e una volta scoperto narra la propria storia con riferimenti anche a sue opere, tra le quali, prevalente, il film LE VOYAGE DANS LA LUNE (1902), che Selznick non a torto definisce "la prima pellicola di fantascienza".

Accanto alla storia principale ci sono altre avventure, concatenate con ritmo incalzante nella versione cinematografica di Scorsese.

Il regista porta il colore ai disegni di Selznick e ricostruisce un quadro d’ambiente da mondo solido di prima modernità: le strutture metallica della Gare de Lyon, corridoi e sotterranei, orologi coi meccanismi evidenziati.

Nella parte su Méliès autore di cinema, col vantaggio della cinepresa sulla scrittura, si compongono richiami alle origini del cinema, spezzoni di pellicole, ricostruzioni degli studi, dei costumi, dei manierismi dell’epoca risuscitata con la nostalgia tardomoderna per un passato romanticizzato e ricorrrente in film recenti come l'opera di animazione UN MOSTRE À PARIS di Bibo Bergeron [2] e il muto L’ARTISTE di Michel Hazanavicius (entrambi del 2011).

A parere di Andrew Pulver, la storia di Hugo Cabret “gives Scorsese a perfect excuse to indulge in a brilliantly imagined potted history of pioneering cinema, the pre-narrative, urtexts of the medium, such as the ARRIVAL OF A TRAIN AT A STATION by the celebrated Lumière brothers” [3].

Peter Bradshaw enuclea uno dei simbolismi emotivi, individuando “a key point when Hugo must use a heart-shaped key to operate his automaton. The heart - that mediator between the head and the hands - is an image which points to the movies as a ghost in the machine: the technology, mass-production and grinding commerce which exploded in the 20th century would also facilitate the growth and vitality of the cinema itself” [4].

Tra i tanti riferimenti, a noi ha fatto pensare anche, per i colori e la recitazione dei protagonisti infantili, a THE GOLDEN COMPASS (romanzo di Philip Pullman e film diretto da Chris Weitz), dato che partecipa sia del realismo archivistico di cui parlano i critici citati, sia del fantasy in una sua sobria espressione [5].


NOTE

[1] Una sua nota autobiografica è a PERSONAL SITE.

[2] Cfr. “Carte allineate”, Nuova serie, n. 2, 2012.

[3] Cfr. “The Guardian”, 23-11-2011.

[4] Cfr. “The Guardian”, 1-12-2011.

[5] Cfr. “Carte allineate”, Prima serie, n. 12, 2007.


[Roberto Bertoni]