15/04/11

Yi Kyun Yŏng, 얻우운 기억의 첲연 (ŎDUUN KIŎGŬI CHŎP'YŎN). L’AUTRE CȎTÉ D’UN SOUVENIR OBSCURE


["The other side" (Temple bridge in Seoul mountains, 2011) Foto di Marzia Poerio]

1973. Traduzione francese di Patrick Maurus e Ch’oe Yun, Arles, Actes Sud, 1991. (Traduzione italiana di Maurizio Riotto, L’ALTRA FACCIA DI UN RICORDO OSCURO, Firenze, Giunti, 1993)

Il protagonista si sveglia una domenica coi postumi di una sbronza in una pensione del quartiere di Imundong senza ricordare perché si trova proprio in quel luogo in cui non pare avere amici, parenti, conoscenti. Ha perso la cartella contenente dei documenti importanti della ditta presso la quale lavora; cerca pertanto di recuperarla ricostruendo dei particolari poco per volta dalle testimonianze del collega con cui si era recato a bere, della padrona della pensione e della compagnia di taxi che ha usato la notte, quindi rivisitando i locali in cui era stato.

Si tratta dunque, inizialmente, in questo romanzo breve, di un percorso a ritroso del protagonista nella memoria recente; e l’aspetto dominante pare essere la preoccupazione di mettere a repentaglio la parte dell’identità sociale relativa al lavoro. L’incontro con un intrattenitrice di un bar notturno che, gli viene rivelato (ne ha perso il ricordo) ha stranamente pagato la corsa in auto e la pensione, lo lascia perplesso, ma per il momento non costituisce il dettaglio significativo. Continua a cercare la cartella e domandarsi perché fosse capitato proprio a Imundong.

Qui si dipana un discorso più remoto nel tempo e più significativo. Tornato a casa, la domenica notte infine, dopo aver risvegliato la memoria di conoscenti dei tempi della scuola e dell’università che abitavano in quel quartiere, ecco che si profilano, per un’associazione di parole con una frase, delle scene più personali. Una ricostruzione struggente riporta ora alla luce un fatto significativo della prima infanzia, quando, all’età di tre o quattro anni, in seguito ai bombardamenti della guerra di Corea, la madre, morendo, gli aveva raccomandato di stringere la mano di una bambina, forse sua sorella, Hye Su, con la quale, trovati da un’addetta di un orfanotrofio, erano stati ospitati in quella struttura per alcuni anni. Adottata Hye Su, il protagonista aveva ricevuto infine una famiglia adottiva, rimuovendo poco dopo il desiderio di ritrovare Hye Su a Imundong, in quartiere in cui aveva scoperto che era stata affidata.

Sono passati venti anni. Il ricordo, rimosso, si direbbe, a causa di un’amnesia post traumatica, è riemerso per via dell’ubriachezza e rivela l’altro lato dell’io, l’Ombra del dolore e dell’inconsapevolezza:

“Cette chose complètement oubliée depuis de vingt ans, il se l’était rappelée la nuit précédente. Il était à la recherche d’une chose dont il ne se souvenait même pas. L’effet de l’alcool avait finalement réveillé ces microbes purulents, cette autre face de lui même enfouie sous la monotonie de la vie quotidienne et la tranquillité apparente, comme sous une nouvelle peau qui aurait recouvert la cicatrice, effaçant toute trace. Il sentait en lui plusieurs existences qu’il ignorait. Il n’y avait pas un vie, une hypothèse, une conclusion unique. Mais ce n’était que maintenant qu’il en découvrait une autre” (p. 70).

Ricomparsa frattanto la cartella coi documenti, che ormai è un dettaglio poco rilevante se non per averlo condotto a riscoprire se stesso e il dolore del passato, inoltre tornato a Imundong in cui non c’è traccia, nemmeno negli archivi municipali, di Hye Su e della famiglia adottiva di lei, torna a trovare Min, la ragazza del bar, e scopre che si era impietosita di lui perché nei fumi dell’alcol le aveva raccontato la propria storia d’infanzia, poi dimenticata e ritrovata per se stesso così penosamente. La simpatia umana di Min per il narratore era dovuta al fatto che anche lei era orfana di guerra; ed è così che nell’ultima pagina si incontrano due persone ferite e per questo ora solidali.

Questa storia è strutturalmente coesa, con gli avvenimenti che emergono l’uno dall’altro mentre un oggetto, la cartella, segue un percorso di ricomparsa.

Se la cartella sembra inizialmente un vettore della carriera, della rispettabilità e del materialismo, è però anche, e di più, un aiutante magico che premette di ritrovare ciò che veramente preme nonché un oggetto simbolico, forse, come se i documenti che contiene non fossero più quelli della ditta ma le carte del passato del narratore.

La casualità riceve una spiegazione nello svolgersi della fabula, trasformandosi in concatenazione stringente di avvenimenti.

Il dramma umano provocato dalla guerra di Corea, su cui siamo intervenuti in altre occasioni su “Carte allineate”, recensendo narrativa di quel paese, è qui ben marcato senza toni retorici e con un quadro assieme sociale e psicoanalitico.

[Roberto Bertoni]