07/10/10

XUĚ SHĀN FĒI HÚ


[Seoul: Chandeokgung. Foto di Marzia Poerio]


XUĚ SHĀN FĒI HÚ. Titolo in inglese: FLYING FOX OF THE SNOWY MOUNTAIN. Serie televisiva di Hong Kong in 40 episodi, 2006; basata sul romanzo omonimo di Louis Cha (alias Jin Yong); regia di Andrew Lau. Con Ady An, Athena Chu, Gillian Chung, Alex Fong, Patrick Tam, Nie Yuan, Anthony Wong.

Abbiamo parlato di altre due serie televisive tratte dai romanzi di Luois Cha (o Jin Yong): DEMI-GODS AND SEMI-DEVILS e THE RETURN OF CONDOR HEROES.

Ci avvincono queste storie per gli elementi archetipici, la ricostruzione storica degli ambienti, i comportamenti umani, la costruzione di mondi di valori perduti e la commistione di avventura e sentimenti. Nondimeno siamo consapevoli di quanto le produzioni attuali giochino con la spettacolarità anche gratuita; e, forse stranamente, siamo meno interessati, anzi persino annoiati, da quanto costituisce uno dei tratti distintivi e ripetitivi del genere cui si ascrivono, cioè i combattimenti di kung fu e arti marziali affini, che occupano parecchio tempo e si traducono talora in incontri realistici, e fin qui destano attenzione, ma spesso al contrario in voli impossibili, sconvolgimenti dell'ambiente sconfinanti nel magico, imprese mirabolanti da eroi dell'epica arcaica.

Ed è così per tutto il fantastico rivisitato dal fantasy, con la consapevolezza, però, che in questi sceneggiati cinesi c'è alle spalle una narrativa che punta su ideologie dell'operato positivo e sui chiasmi della psiche umana.

Gli amanti sono ostacolati, come in questa serie, il cui protagonista, Hu Fei, non riesce ad portare a termine la propria storia con Ziyi, perché un'altra sua ammiratrice, Ruolan, in buona fede e il giorno prima della fruttificazione, che avviene solo una volta ogni sette anni, dunque per destino, distrugge annaffiandola una pianta di orchidea da frutto che potrebbe salvare Ziyi dall'avvelenamento e che Hu Fei ha con grande difficoltà coltivato in un luogo isolato delle montagne cinesi, tra il ghiaccio e usando come fertilizzante il liquore di riso. Anche solo l'episodio qui ricordato dimostra quanto di archetipico si annidi in queste serie diabolicamente ben congegnate: il mondo invertito della narrativa fiabesca (la pianta che cresce nel gelo e con l'alcol invece che nel calore e con l'acqua); l'alchimia taoista; i simboli dell'anima, della vita e della morte; il triangolo amoroso.

Al contempo c'è una messa in atto delle scelte etiche, perché adesso cosa farà Hu Fei dopo che colei che amava gli è stata uccisa da colei che lo ama? Con spirito confuciano e senso dell'onore verso sé e gli altri, proteggerà la medesima Ruolan da vari felloni, rischiando la vita e alla fine riunificandosi (Animus con Anima) proprio con lei, che in parte è stata responsabile, sempre involontaria, della morte per avvelenamento di Lingsu, un'altra ragazza invaghitasi di Hu Fei e maestra dei veleni, cioè capace di gestirli per fini meidici e positivi, quindi una realizzazione junghiana del , mentre la sorella è un'Ombra deviata verso fini neri e letali e si autodistruggerà come può accadere a chi si ingrandisce della propria malvagità senza mai ravvedersi.

Altro elemento ricorrente anche in altre storie di Cha è l'azione dei tradidori: qui il bieco Tian Guinong, che con le menzogne getta confusione tra tutti, spingendo sul piano personale Hu Fei a vendicarsi di chi gli ha ucciso il padre e che in realtà è un giusto senza macchia. L'intreccio riceve così complessità e spinte propulsive, mentre il giusto, sebbene trionfi alla fine, viene sviato sul percorso che compie, ma si irrobustisce interiormente in funzione anche di queste traversie.

Il potere politico è rappresentato dall'Imperatore che manovra i fili tra le quinte, servendosi delle possibilità machiavelliche come pure di quelle confuciane della politica. I suoi funzionari eseguono gli ordini, ma vengono anche sviati dalle passioni personali, soprattutto dall'avvenenza femminile, cui si rivolgono non per amore ma per lussuria e senza altruismo, e dall'ambizione eccessiva, difetti che li spingono a commettere efferatezze e a perdere gli altri e se stessi.

Uno dei motori dell'azione narrativa è la ricerca del tesoro di Genghis Khan, quindi ancora una volta un elemento fiabesco e leggendario oltre che un simbolo allegorico della corruzione che può provocare l'oro rispetto alla dignità e alla ricerca interiore.

Hu Fei e Ruolan alla fine si ritirano in solitudine, appunto, tra le nevi eterne, distaccati dal mondo caotico dei più, che è fonte, buddhisticamente, di sofferenze.


[Renato Persòli]