07/08/08

Francesco Macciò, L'OMBRA E LE COSE: DUE POESIE


[From the Parodi hills: tramonto. Foto di Marzia Poerio]


1.

PER EQUORA

Di un tronco nodoso
il riflesso lungo la sfera
più chiara dell’acqua,
tra le palpebre stanche
a filo sull’acqua il riflesso
di un tronco ritorto
che al largo scompare…
la Colchide d’oro, il taglio
di ghiaccio dei monti di Atlante.

Al largo le sierre innevate
le creste celesti cerchiate
di ghiaccio, mentre risale
grumosa la sera nell’occhio
più bianco del lago


2.

L’ALTRA SPONDA

All, all are sleeping...

Non era bene sistemarli là
più nessuno da anni
discende in quel verde franoso
e l’acqua quando si ingrossa
come rocce sbriciolate
li trascina a valle nel torrente
se li porta via in minuscole
lamelle lucenti sul fondo
che nel cielo rivelano gli uccelli
neri in giri lenti

in giri lenti un cerchio
di ombre risalgono leggere
sul finire di ogni giorno
e di ogni contesa e rimangono
intorno a un fuoco tardi fino a sera
a parlare piano di noi ancóra
giù nel mezzo della corrente
noi che in parole semplici
non sappiamo immaginare
nemmeno più una preghiera

una preghiera lungo il filo
fuori uso che ci guida all’altra sponda
dove il bosco ricopre tutto
e si raccoglie
nel cavo di una mano lo stupore
di quest’acqua indifesa



NOTA DELL’AUTORE

La poesia L’ALTRA SPONDA fa riferimento ai Boschetti, un luogo ormai inaccessibile o irriconoscibile nell’intrico della macchia, presso le sorgenti dello Scrivia, nel comune di Torriglia. Un remoto progetto prevedeva di edificare in quel luogo il nuovo cimitero del paese. Ma il progetto fu poi abbandonato, in quanto i Boschetti, oltre che malagevoli, si rivelarono geologicamente instabili.

Le due poesie di questa pagina sono tratte da L'OMBRA CHE INTORNO RIUNISCE LE COSE, Lecce, Manni, 2008, sulla cui quarta di copertina si legge:

“Cose custodisce lo spirito dei luoghi di una Val Trebbia romana, pagana, monastica, ma anche terra di transizione e di frontiera.

E tuttavia, nel dissolvimento di un’identità originaria, nel rifluire di voci rasoterra, dallo zero, dalla cenere che il fuoco ha lasciato, la poesia densa e stratificata di quest’ultima raccolta di Francesco Macciò è anche memoria di un dono, riflesso di una visione che non si specchia in se stessa, ma dice tutto il suo disagio e il suo splendore”.