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A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
Address (place of publication): Italian Dept, Trinity College, Dublin 2, Ireland. Tel. 087 719 8225.
ISSN 2009-7123
06/11/07
K. Asif, MUGHAL-E-AZAM
[The gentleman. (Wooden statuette, private collection). Foto di Marzia Poerio]
1960. Sceneggiatura: Amal Kamal Anrobi. Con Ajit, Prithviraj Kapoor, Durga Kote, Dilip Kumar, Madhubala, Nigar Sultana. Musica di Naushad. Dvd: Shemaroo (Mumbai)
Innamorata del principe Salim (impersonato da Dilip Kumar), la danzatrice e schiava Anarkali (la cui parte recita l'attrice Madhubala) entra in conflitto con l'imperatore Mogul Akbar (l'attore Prithviraj Kapoor). Anarkali è vittima delle circostanze e delle promesse dell'amato, dato che aveva tentato di resistere inizialmente alla caduta nella passione, conscia dell'impossibilità di quella relazione; ed è catturata in un intrigo di corte da parte di Bahar (l'attrice Nigar Sultana), una valletta ambiziosa e innamorata, che ostacola con delazioni e calcolati tradimenti gli affetti dei protagonisti per procacciarsi la mano del principe.
Nel tempo rappresentato nel film siamo nel sedicesimo secolo (la vita di Akbar è compresa tra il 1542 e il 1605); le figure reali sono storiche nei nomi quanto fantasizzate sullo schermo; la leggenda (forse con qualche elemento storico non comprovato) vuole Anarkali murata viva per punizione; il tentativo del principe Salim (per gli archivi Muruddin Salim Jahangir, 1569-1627) di sovvertire l'impero paterno ci fu, di breve durata (legato nel film all'amore ostacolato e alla figura autoritaria del padre).
Nella pellicola, il re, dovendo mantenere una promessa alla madre di Anarkali, di concederle quanto gli avesse chiesto per un favore di tanto tempo prima, legato alla nascita di Salim, finge di giustiziarla, ma segretamente la salva e la avvia all'esilio attraverso segreti cunicoli sotterranei. Salvata l'autorità (due persone di diverso rango non possono vivere un amore legale), la pietà non viene meno. In tal modo la ricostruzione a ritroso dell'identità indiana, che ha in Akbar un capostipite rilevante, procede su binari sicuri. Nella verità storica, il principe successore fu tanto conquistatore quanto estensore di leggi.
Contestazione della prepotenza da parte di Salim e dell'autorità della società patriarcale da parte di Anarkali; passioni grandi e tenere; attestazione forte di libertà e di indipendenza da parte della schiava e danzatrice, le cui esibizioni sullo schermo sono straordinarie: non a caso si tratta di una delle grandi attrici indiane.
È da varie angolazioni una fiaba, il cui intreccio sembra svolgersi secondo schemi di predestinazione alla sofferenza e impulsi generosi, inibiti e distorti in dolore, tuttavia con un lieto fine seppure amaro.
La sequenza che ci è piaciuta di più e che non ci stanchiamo di riammirare è quella in cui Madhubala danza secondo lo stile Kathak per la famiglia imperiale, dichiarando con una canzone la verità e reclamando la sua parte negli eventi. La canzone è PYAR KIYA TO DARNA KYA [1], cantata da Lata Mangeshkar e mimata con le labbra da Madhubala. "Quando abbiamo amato, perché dovremmo temere?", dice il ritornello di questa canzone in cui Anarkali annuncia di rivelare i segreti del proprio cuore: "Morirò e vivrò, non è più la volontà a guidarmi; il nostro amore non rimarrà segreto". Un atto di sfida destinato a pagarsi caro.
Del resto, in un altro quadro memorabile e precedente, un contrasto cantato (intitolato TERI MEHFIL MEIN) tra due gruppi di donne guidate rispettivamente da Anarkali e Bahar, sul tema dell'amore e sui moventi nascosti delle due ragazze nei confronti di Salim, col ritornello "Seguirò il mio destino", se a Bahar, innamorata occulta, era toccato in premio il bocciolo di una rosa a conclusione dell'agone, a Anarkali era andato il gambo spinoso; ella infatti aveva detto, preannunciando un fato sfortunato: "Quale gemma è la vita senza lacrime?", ma anche: "L'amore, lo concedo, rovina la vita, ma non è sufficiente essere ricordati a lungo dopo la morte?"
Ricordiamo un'altra canzone, iniziale e più ottimista, anch'essa danzata: MOHET PANGHAT PE.
Come ogni melodramma, questo film è tenebroso e al contempo vitale. Il bianco e nero è ben dosato soprattutto nei primi piani, tranne alcuni spezzoni ridisegnati con sontuosità non discreta per il colore. Si tratta di un classico da non perdere.
NOTA
[1] Si possono vedere, oltre a questa, le scene con le altre canzoni del film su U-Tube, all'indirizzo http:// www. youtube. com/ watch?v= plsRq FDk-2A.
[Renato Persòli]