07/06/07

Ruggero Guarini, UN PIZZICO SULLA MANO


[A pinch on the hand. Foto di Marzia Poerio]


Ruggero Guarini, UN PIZZICO SULLA MANO, Padova, Il notes magico, 2006. Quartine cantabili e solido nulla, una raccolta di poesie d'amore e delusione

Ruggero Guarini, napoletano, noto giornalista e polemista. Penna scandalosa dopo il passaggio dal PCI napoletatano a settori polemici nei confronti della sinistra, fino ad approdare agli ambienti del Giornale. La sua opera più nota è la riscrittura, per l'editore Adelphi, del CUNTO DELLI CUNTI di Basile, dal napoletano secentesco a un linguaggio odierno.

Umberto Silva, lombardo, scrittore e psicanalista, editore, con il Notes Magico, di una manciata di volumetti, a cui rivolge cure particolari.

I due sono amici da lunga data, e pur vivendo da molti anni in città diverse, non rinunciano a tenersi in quotidiano contatto telefonico su problemi di letteratura e politica, se a queste corroboranti conversazioni facevano riferimento in una recente presentazione, a Roma, alla Casa delle letterature.

E' probabilmente dovuta all'acuto giudizio di Umberto Silva sulla quarta di copertina, un sinteticissimo ritratto dell'autore napoletano, che appunto anni di frequentazione e di conversazione rendono intenso, ellittico, e molto preciso. "Sangue caldo e tagliente lama", sì questo forse potrebbe essere un soprannome, come si davano una volta ai capitani di ventura, se Guarini fosse quel "guerriero" nel "fragore delle armi" che Silva menziona.

Lui parla anche di de Maistre e Bloy, con riferimento implicito alla violenta polemica antilluminista (sì, credo che questo sia il termine esatto), di quell'aguzza penna napoletana.

Eppure, questo è solo un libretto di poesie d'amore e delusione. E c'è da tenere in considerazione la forma - il ritmo e la rima - usati qui, ma già anche nell'altro libro QUANDO BISBIGLIO LA PAROLA DIO. Le quartine, la semplicità quindi con cui nel verso breve e nella rima si decanta il pensiero, il sentimento, di una mente tendenzialmente enciclopedica e polemica, mi ha richiamato certe quartine di Voltaire:

"Nous naissons, nous vivons, bergère,
Nous mourons sans savoir comment.
Chacun est parti du néant:
Où va-t-il?... Dieu le sait, ma chère".

Le rime come note di una musica semplice da lasciare cadere sulla pagina. Ironia e sorriso che mascherino lo sgomento. Rispetto del mistero, e gioco finché sia possibile.

Ma la parola "niente"? L'ho incontrata in continuazione, sia nell'accezione avverbiale - frequentissima, smaniosa, disperata e anche capricciosamente infantile - ("e non me ne importa niente", p. 38; "noi non c'entriamo niente", p.33), sia come pronome con valore quantitativo ("Non hai / più niente"), sia come sostantivo con connotazioni anche metafisiche ("sogna e vagheggia il niente"). Sì certo, questo piccolo canzoniere porta una data: 1985-1986. Alla luce di questo elemento può essere letto come espressione di una crisi, di un violento passaggio che a quegli anni si riferiscono.

E allora cosa c'entrerebbe Voltaire, la levità del dire, se si trattava di elaborare un preciso lutto, o addirittura concomitanti lutti e abbandoni?

Credo che oggi, dopo venti anni, se quelle poesie resistono è perché quel niente, esistenziale e legato anche alla contingenza, si è cristallizzato in solido nulla, un'intima evidenza rispetto alla quale non c'è che prendere atto, con levità appunto settecentesca e illuminista. O interrogarsi, ma come per gioco inseguendo la moglie, Muzzi "dai motti aguzzi", tra le sue piante.

[Piera Mattei]