Buenos Aires,
Centro Editor de América Látina, 1993
Nato nel 1900 a Firenze, Mario Soffici
emigrò a nove anni in Argentina con la propria famiglia. Nella vita adulta,
passando attraverso lavori manuali, il circo, il teatro e in parte il cinema
muto, divenne infine regista del sonoro, producendo un’ingente quantità di
film, circa ottanta, di valore artistico variabile, ma tutti destinati a
segnare i sentieri della cinematografia argentina per alcune caratteristiche
tipiche: il riferimento alla realtà quotidiana, la consapevolezza neorealista delle classi sociali, il melodramma
e l’importanza dei sentimenti oltre che della descrizione di ambiente.
Tra i film più noti a sfondo sociale,
si ricorderà Prisonieros de la tierra (1939), che Grinberg considera una
delle pellicole fondanti di vari “archetipi riconosciuti del cinema
latino-americano […]: riferimenti al contenuto sociale, aspetti drammatici, eroe
incorruttibile, inserzione del paesaggio, diversi elementi etnici, ritmo
narrativo, lampi poetici” (p. 45).
Oltre a Prisonieros de la tierra, tra i film considerati maggiormente
validi da parte dello stesso regista, si collocano Tres
hombres del río (1943) e Viento Norte (1937).
Giustamente Grinberg ne aggiunge
altri, in particolare Rosaura a las diez (1958), basato su un romanzo di
Marco Denevi, film costruito sul rapporto tra immaginazione e realtà, le
coincidenze che spingono verso un destino, i motivi della famiglia e dell’amore
fatale, melodramma in parte e in parte racconto onirico seppure caratterizzato da una recitazione realistica.
Secondo il critico Madrid, citato da
Grinberg, “Soffici è argentino per via del clima; nazionale per i temi; e tipico
per l’originalità che esclude quanto è comune e banale. La sua cinepresa si
muove con lentezza, gravità e trascendenza pausata” (pp. 39-40).
[Roberto Bertoni]