["The olive trees were cut..." (Lerici 2019). Foto Rb]
Roberta Dapunt, Sincope. Torino,
Einaudi, 2018
Il dizionario Treccani definisce
sincope come “sospensione, per lo
più transitoria, della coscienza” nel
campo medico; e “in linguistica, caduta di un suono o un gruppo di suoni
all’interno di una parola” [1].
Il primo significato lo troviamo
nella poesia intitolata “sincope 1”, ripetuta anche in copertina:
“Lì, in fondo ad ogni ultimo verso
improvvisa è la perdita di coscienza.
Lettore, io emetto suoni su tempi
deboli,
che siano essi di giorni riposti o
demenza,
così l’alcol, così l’amore e la morte.
Sono queste le mie verità,
lasciano visioni accese persino al
gelo notturno.
Che nella notte, io le rumino,
ma nel giorno, io di loro mi
alimento” (p. 37).
Una dichiarazione di poetica che
tiene conto tanto dell’aspetto stilistico (i “tempi deboli”), quanto della
registrazione di eventi interiori e del passaggio delle vicende della
quotidianità, queste ultime ribadite anche altrove, in particolare in “del
vivere consueto”, in cui la normalità dell’esistenza diventa elemento di canto:
“Io ti parlo, da semplice condizione,
senza narrazioni sacre di
avvenimenti,
senza i racconti in dottrine di
imprese e di gesta,
senza le origini di dèi e di eroi.
Riservato campo il mio, in cerca
solamente di zitte presenze,
e del comune esistere, poiché il
tempo
in questo luogo è morsa di
accadimento sempre uguale” (p. 28).
La “caduta di suoni” del secondo
significato di sincope si rileva nello spesso citato silenzio, per esempio le “zitte presenze” qui sopra; e in
“delle solitudini II”:
“È condizione di chi fugge il
silenzio. E la solitudine
unico lasciapassare che non sarà
chiesto” (p. 47).
Se il silenzio, nell’ultima citazione, si associa
a solitudine, in un altro componimento, senza titolo, è denotato dall’assenza:
“Lontana sono dal mondo, ciò che
vedo, leggo,
è tempo scorso, minuti finiti. Che
sempre,
fuori così tanto succede fino al
racconto
e ogni volta io sono stata assente”
(p. 27).
L’area tematica della maggioranza
delle poesie della raccolta comprende il corpo e un io che tenta di definirsi
nel rapporto con l’esterno e con l’interiorità.
In “Fego”:
“[…] sono io
quel silenzio di mura, quella
chiusura di porte,
oscuramento io della ante accostate,
la conta dei camini spenti,
quel paese del nulla succedere […]”
(p. 9).
In “del corpo I”:
“[…] davanti ad ogni mattino
io cerco un fardello d’incanto
e non trovo che un animo deforme”
[Roberto Bertoni]