11/06/19

Janice Y.K. Lee, THE EXPATRIATES


[Hong Kong Expatriates and Locals, 2017 (Foto Rb)]

Londra; Little, Brown Book Group; 2016 (Edizione Kindle)

Di nazionalità statunitense e di origine coreana, nata a Hong Kong, autrice già di un romanzo di ampio successo intitolato The Piano Teacher (trad. italiana di C. Prosperi, L’insegnante di pianoforte, Milano, Bompiani, 2009), Lee porta, anche in The Expatriates, i vari aspetti delle culture di cui fa parte all’interno di una narrazione serrata, che riesce con buon esito ad amalgamare alcuni elementi del melodramma coreano di origine televisiva (coincidenze non impossibili ma in parte improbabili, personaggi legati da queste coincidenze), citato anche en abyme nel corso del testo come genere gradito ai personaggi; esponenti e comportamenti della diaspora coreana negli Stati Uniti e a Hong Kong; aspetti dell’identità della classe medio-alta statunitense con professioni di prestigio a Hong Kong in contrasto con la sorte di chi è costretto ad arrabattarsi con lavoretti per sopravvivere; infine, e sempre in primo piano, i quartieri, le abitudini quotidiane, la distinzione in ceti sociali, l’urbanizzazione, i lati commerciali, la vita a metà artificiosa e isolata degli stranieri residenti e quella vissuta con naturalezza dalla gente del posto, in breve la città di Hong Kong nelle sue complessità e stratificazioni rese con empatia e sguardo sociologico. Frattanto la storia delle tre protagoniste mette la figura femminile al primo posto; alterna la voce di ciascuna in capitoli composti col discorso indiretto libero accompagnato da dialoghi significativi; riflette sulle difficoltà e ironie amare della vita e soprattutto della famiglia.

L’intreccio presenta Margaret, sposata con tre figli in un matrimonio di benestanti, che assume a un certo punto Mercy, una giovane che ha studiato alla Comubia University, ma proviene da un background sociale piccolo borghese e non ha mai trovato, per mancanza di raccomandazioni date dalle interazioni tra famiglie della classe agiata, un lavoro equivalente alla laurea. Mercy ha il compito di aiutare Margaret nella cura dei figli, ma, in un momento di assenza di Margaret, perde uno dei bambini durante una vacanza a Seoul. Il ragazzino non ricompare, nonostante gli sforzi della famiglia e della polizia, con conseguente tragedia personale delle due donne, che si rincontreranno verso la fine del romanzo, circa due anni dopo i fatti, riuscendo a dialogare, al punto che si determina il perdono di Mercy da parte di Margaret. Frattanto, si configura la storia di Hilary, di famiglia altolocata, il cui marito decide di vivere per proprio conto e diventa, nella piccola comunità di stranieri di Hong Kong, per gioco del destino, l’amante di Mercy, che da lui ha un figlio respinto dal padre sebbene egli contribuisca, per lo meno, alle spese della gestazione e del mantenimento. Anche Hilary, infine, perdona Mercy. Il romanzo si conclude con le tre donne in ospedale accanto alla culla del neonato, verso un futuro di lutto, ma a questo punto anche di riadattamento, per Margaret; di assunzione di responsabilità per la giovane Mercy; e di evoluzione di Hilary, che vivrà per proprio conto, adottando da single un bambino di un orfanotrofio di Hong Kong.

Questa la descrizione iniziale degli “expatriates” di Hong Kong:

“The new expatriates arrive practically on the hour, every day of the week. They get off Cathay Pacific flights from New York, BA from London, Garuda from Jakarta, ANA from Tokyo, carrying briefcases, carrying Louis Vuitton handbags, carrying babies and bottles, carrying exhaustion and excitement and frustration. They have mostly been cramped in a coach; a precious few have drunk champagne in first; others have watched two movies in business class, eating a ham-and-Brie sandwich. They are thrilled, they are homesick, they are scared, they are relieved to have arrived in Hong Kong. […] They work at banks; they work at law firms. They make buttons, clothing, hard drives, toys. They run restaurants; they are bartenders; they are yoga teachers; they are designers; they are architects. […] They are Chinese, Irish, French, Korean, American – a veritable UN of fortune-seekers, willing sheep, life-changers, come to find their future selves”.

[Roberto Bertoni]