C’era un buon diavolo che ebbe molti
torti dalla vita e i sospetti sulle persone che a quei tempi aveva vicino e con
cui aveva rotto i rapporti con durezza gli avevano lasciato un rancore che
sempre riaffiorava.
Un giorno fece una prima buona
confessione accusando i suoi peccati di tutti gli anni precedenti. Mise a nudo
le sue colpe ed evidenziò i suoi difetti. Sentendosi sollevato, si accostò al
sacramento dell’Eucaristia e acquistò un respiro di serenità. Nelle confessioni
successive trovava nuovi difetti e confermava i vecchi che non riusciva a
eliminare. Naturalmente non parlava più delle vecchie colpe, che dava per
perdonate.
Si rimise a leggere il Vangelo e lo
metteva in pratica con la carità e la preghiera personale. Entrò in un gruppo
di preghiera che funzionava come una piccola comunità. Dopo un anno di queste
pratiche s’iscrisse come adoratore perpetuo. Gli fu affidato un turno notturno
all’adorazione permanente eucaristica, in una cappella annessa a una chiesa ex
cattedrale della città. Vi era costantemente presente il Santissimo, il cui
ostensorio riceveva la luce di due lumi a petrolio sempre accesi e da un
potente faretto. L’illuminazione della cappella era più scarsa.
Lui prediligeva l’ultimo
inginocchiatoio da cui poteva volgere lo sguardo sui quadri dell’Assunta e di
San Venerio, uno dei santi patroni della città, o meglio del golfo. Questo
santo era un eremita che aveva scelto come suo romitaggio un’isola minore del
piccolo arcipelago.
L’Assunta riceveva la gloria degli
angeli e le suppliche delle anime del Purgatorio. Questi due quadri lo
stimolavano a pregare per i defunti conosciuti, che elencava, dedicando a
ciascuno un Eterno riposo e a quelli sconosciuti della città cui ne dedicava
uno cumulativo.
Sovente diceva una decina di Ave Maria
per i problemi della città, specie per le necessità dei poveri e dei malati.
Recitava dei Padre nostro per i suoi parenti, per gli amici e conoscenti che
sapeva nel bisogno. Un atto di dolore lo scioglieva dai peccati veniali ma non
gli piaceva del tutto la frase “perché peccando, ho meritato i vostri
castighi”. Credeva, infatti, in un Dio misericordioso che ci ama tutti a tal
punto da perdonarci le colpe più gravi. L’anno giubilare della Misericordia veniva
a confermarlo.
Dopo questo rito d’inizio si lasciava
andare alla meditazione in cui lo assalivano tutti i tipi di pensieri,
progetti, ricordi, immagini di persone o panorami di luoghi visitati. Spesso
erano vuote distrazioni ma a volte portavano a un vuoto assoluto che sfociava
in domande spirituali profonde. Non attendeva molto senza ricevere una risposta
tramite una sola parola che gli balzava chiara alla mente.
Questa parola diventava una
risoluzione, un proposito da mettere in pratica nella vita quotidiana e nei
comportamenti futuri. Le volte in cui sentiva la luce più bassa, gli occhi
pesanti, il vuoto che restava tale, volgeva lo sguardo in cerca di aiuto alla
statua alla sua sinistra. Era una pietà lignea, copia di quella della Madonna
di Soviore, nel santuario sopra Monterosso.
Una graziosa Madonna teneva caramente
in braccio il Cristo deposto dalla croce, espressione del sacrificio per la
nostra salvezza. Entrambi indossano un’imponente corona.
Il nostro buon diavolo provava allora
una dolce pena per le due figure. La madre sofferente impersonava tutte le
madri che avevano perso un figlio, ma nello stesso tempo il Cristo era un
bambino dormiente in grembo alla mamma che lo cullava.
La pietà provocava affetto,
gratitudine, ricordo, preghiera, amore filiale.
Nella scarsa luce, gli occhi chiusi
della Madonna gli parvero schiudersi su di lui, con sguardo amorevole. Pensò a
un effetto dovuto al sonno o alla suggestione provocata dalle emozioni e dai
sentimenti evocati da quell’opera d’arte sacra. Distolse lo sguardo.
Tornò su quegli occhi scolpiti nel
legno. Li trovò chiusi.
Insistette a guardarli come a sfidare
la statua a rinnovare il miracolo.
Il miracolo, lentamente, si ripeté.
Tremando come una foglia, si mise a
recitare una sequela di Ave sinché trovò calma bastante per ragionare e negare
il miracolo. Si diede la spiegazione che lo scultore fosse stato talmente abile
da confezionare il particolare di quegli occhi perché si potesse indurre
quell’illusione nell’osservatore. Contro quest’ipotesi veniva il fatto che mai
aveva sentito dire da nessun credente che quest’effetto fosse stato osservato
né tantomeno creduto come miracolo. Eppure era noto che in certi quadri o in
altri generi artistici fosse indotta un’illusione ottica come quella in cui il
soggetto sembra seguire con lo sguardo un osservatore che si sposti rispetto al
punto di vista centrale.
Al termine dell’ora di adorazione la
sua conclusione finale sul fenomeno osservato era questa.
La settimana trascorse nel dubbio e nell’attesa
di riprovare a sfidare la Madonna ad aprire ancora gli occhi su di lui.
Venuto il giorno e l’ora del suo
turno, evitò di dirigere lo sguardo sulla statua ma cercò di concentrarsi sulla
particola nell’ostensorio.
Meditò la lettura del Vangelo della
domenica precedente, nel commento del parroco. In cuor suo era agitato ma
continuava a non voler guardare la statua.
Le righe del foglietto del commento al
Vangelo si confusero e anche con gli occhiali non riusciva a leggere bene.
Perciò si voltò a sinistra e vide la Madonna con gli occhi aperti.
Sostenne il suo sguardo. Non sapeva
quanto avrebbe potuto resistere né se avrebbe percepito che invece gli occhi
erano chiusi.
La Madonna chiuse gli occhi.
Allora lui espresse la preghiera che
ancora li aprisse e lo guardasse.
La Madonna li riaprì ma li tenne
bassi, con dolore.
L’adorante incredulo si pentì di aver
provocato questo dolore proprio alla mamma di tutte le mamme, così come se lo
avesse fatto alla propria mamma e non a una statua. La statua era viva? C’era
la presenza del soprannaturale in quel luogo sacro. Come adorante avrebbe
dovuto crederlo in partenza, ma per la sua fede il cammino era ancora lungo.
Ricordava il peccato d’incredulità di San Tommaso.
Questo segno che lui riceveva era la
sua prova del divino che pervade la realtà e va oltre l’immagine limitata che
ne abbiamo. Non doveva più dubitare né sfidare il sacro che era stato così
benevolo a rivelarglisi.
Tant’è che durante la settimana
successiva fece dei sogni orrifici, degli incubi che riesumavano morti senza
tomba né nome, scomparsi in circostanze tragiche e misteriose.
Ne parlò con una persona fidata,
anch’essa del suo gruppo di preghiera.
Questa gli disse che questi morti non
sono presenze reali che ci chiedono qualcosa né incubi da dimenticare ma
segnali del fatto che nella nostra anima ci sono fatti del passato non risolti
con cui è necessario riconciliarsi.
Lui ammise che il suo passato, con cui
credeva di avere chiuso definitivamente, invece lo tormentava con sospetti su
persone che lui credeva lo avessero danneggiato e con un malcelato rancore nei
loro confronti.
Spiegò però che un confronto
riconciliatorio non era possibile perché dall’altra parte avrebbe trovato un
muro o assenze.
Ebbe la risposta che la soluzione per
la riconciliazione doveva essere spirituale. Avrebbe dovuto pregare
intensamente per queste persone, perché anche loro trovassero la pace,
sciogliendolo così da un nodo che lo teneva legato a un passato superato.
Andò all’adorazione avendo già fatto
una bella visita in chiesa dove espresse le sue benevole intenzioni di
preghiera di fronte alla statua della Madonna addolorata, chiedendole di
alleggerire le pene sue e delle persone che lui credeva gli avessero fatto del
male.
Gli veniva alla mente la prima strofa
dell’irriverente canzone di Gaber, senza ricordarne l’accostamento fuori luogo:
“Oh madonnina dei dolori quanti dolori avete voi”.
Ripeteva il motivetto mentalmente e
credeva così di pregare due volte, come diceva Sant’Agostino.
La stessa sera si recò all’Adorazione
permanente senza paure, finalmente sereno.
Cominciò recitando un sentito Atto di
dolore, non indugiando sulla frase che non gli piaceva, che ora accettava
perché “i castighi” di Dio sono spunti per la nostra conversione, lo aveva
capito.
Ricordò, con pensieri compiuti e
chiaramente, i sospetti sulle colpe che imputava a questo e a quello e,
sinceramente, perché lo trovava conveniente per sé, e per vera disposizione al
perdono, fece questo grande atto di misericordia di invocare su tutte quelle
persone la pace.
Si sentì di abbracciarli tutti e a
ciascuno disse in cuor suo una parola adatta a chiudere un conto in rosso con
la remissione del debito.
Si girò ancora una volta a sinistra e
disse ad alta voce alla statua – era solo -:
“Guardami, ora!”.
La Madonna aprì gli occhi ma dalle
labbra lignee chiuse uscì la frase – come un tuono –:
“Lo vuoi per iscritto, il mio
perdono?”.
Il povero diavolo s’inginocchiò di
fronte al Santissimo, si fece il segno di croce e scappò dalla cappella.
Lo incontrò l’adoratore del turno
successivo che si meravigliò di tanta fretta, s’inginocchiò e recitò il suo
Atto di dolore.
NOTA
[1] La
statua di Nostra Signora di Soviore
si può vedere qui.