Sottotitolo: De la
diversité a venir. Fécondité culturelle face à identité nationale. Parigi,
Galilée, 2010
Il libro nasce, come spiega l’autore, da una visita in Vietnam e da
conversazioni con Hoang Ngoc Hien, soprattutto dall’essere entrato in un dialogo
con la concezione, peraltro corretta, di quest’ultimo, secondo la quale “la
cultura vietnamita si trova in una situazione pericolosa, còlta com’è tra l’influsso
millenario della Cina, il dogmatismo marxista e l’americanizzazione in corso”
(p. 13).
Allontanandosi dallo specifico vietnamita e generalizzando le problematiche,
Jullien contesta sia gli estremi delle rivendicazioni identitarie odierne in
vari paesi, che posano su un essenzialismo pronunciato, sia un’universalità esagerata,
tale da cancellare le differenze e le particolarità delle culture.
Allo stesso tempo, sostiene un’idea di cultura in perenne trasformazione e
caratterizzata da pluralità anziché singolarità, nel contesto della
mondializzazione e trasmissione mutua di aspetti, generatrici in parte di somiglianze
tra atteggiamenti nella contemporaneità e dovute alla “rottura tra due epoche,
una anteriore e una posteriore all’industrializzazione, prodottasi in tutto il
mondo” (p. 23).
Jullien difende non i “valori”, bensì le “risorse” delle culture nazionali (p.
15) e la loro “fecondità” (p. 18) che induce innesti reciproci.
Scrive che il problema è quello della “giusta articolazione tra il punto da
cui si proviene”, che comprende, da un lato, il paese natale, la lingua, la
famiglia, le credenze e così via, e, d’altro lato, la trasformazione che se ne
opera e che “libera dagli idiotismi” (p. 57), aprendo, in direzione del futuro,
nuove possibilità.
[Roberto Bertoni]