["From one to the next space" (La Spezia 2018). Foto Rb]
L’apporto
di Goliarda Sapienza al cinema di Citto Maselli e di altri registi attivi tra
la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta, come attrice, doppiatrice,
sceneggiatrice e precoce actor coach –
negli anni Ottanta e Novanta per i film di Maselli – è uno tra gli aspetti legati
alla sua figura approfonditamente analizzato dalla critica[1]. Recitazione e scrittura sono
andate, infatti, di pari passo dal 1952-1953 circa, anni in cui Sapienza ha lavorato
con Alessandro Blasetti e Michelangelo Antonioni (prima che in Senso, a teatro, in un nuovo
allestimento di Medea). In quel
momento sono nate alcune prose della raccolta postuma Destino coatto (Empirìa, 2002) e le poesie di Ancestrale (La Vita Felice, 2013). Si tratta di scritti composti in
un tempo in cui l’attrice/autrice si stava misurando con una liricità che
proveniva da ambiti affini: il teatro di prosa di cui era interprete (ma scriverà
anche pièce, tra il ’65 e l’87), il
ruolo di attrice minore in lungometraggi e lo scambio intellettuale con l’entourage di Citto hanno contribuito a
formare quel sistema di pensiero laterale che caratterizza la pluriartisticità
di Sapienza.
L’anno 1952 – prima della scomparsa della madre, l’attivista socialista Maria Giudice (1880-1953) – segue il successo pirandelliano del ’51 in Vestire gli ignudi, dove recita nella parte della protagonista. Il ’51 è anche l’anno in cui appare ne La morsa, episodio di Blasetti all’interno del film collettivo Altri tempi, e in cui Mario Camerini nell’ Ulisse (non accreditata). Il ’52 sembra anche segnare un passaggio cruciale di intenso lavoro ai documentari di Maselli, che ha in più occasioni ricordato il contributo della compagna[2]. L’attenzione di Sapienza è rivolta alla costruzione filmica e al montaggio[3] come elementi di un linguaggio scrittorio da apprendere attraverso esperienze dirette:
“La
macchina da presa – disse una volta – mi insegnò a vedere e a vivere la vita”[4].
“tanto cinema fatto con Citto in pieno
entusiasmo e accordo: 40 documentari e 4 o 5 film fino ai “Delfini” o “Gli
indifferenti”: ho fatto tutti i mestieri e… ho imparato più dal cinema che da
cento università.”[5]
Lei stessa, definendosi cinematografara, ha proposto un criterio
d’indagine che apre alla possibilità di ricercare, nelle pieghe del suo lavoro,
ulteriori luoghi d’origine della scrittura, ancora inediti.
Nel ’51-’52
Citto Maselli girerà la più parte dei suoi corti, alcuni dei quali disponibili
grazie all’Archivio digitale dell’Istituto Luce[6]:
“sulla
fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta i miei migliori documentari
furono Finestre purtroppo perduto, e
poi Bambini che ebbe un buon successo
a Cannes [sic. Venezia] […]. Seguirono Ombrellai
cui tengo moltissimo e Zona Pericolosa
sull’istigazione alla violenza che il cinema, i giocattoli e la stampa a
fumetti costituivano nella società di allora. […] il carattere un po’
didascalico, di “denuncia”, del film era attenuato da uno stile fortemente
poetico e da immagini (volti di bambini e la tragica periferia urbana alla
Sironi) di grande intensità. […] Per quello che riguarda Ombrellai […], devo dire che per me è tra le cose migliori che ho
fatto in assoluto, e a me è molto caro perché colpì particolarmente Visconti
segnando l’inizio di un’amicizia e anche di un rapporto di lavoro per me
fondamentali.”[7]
Tra quelli
pur non tutti citati dal regista ma di presunta ambientazione romana si hanno: Quando nessuno ci vede, Zona pericolosa, Fioraie e Niente va perduto, questi ultimi due prodotti da Giuseppina Bazzichelli[8]. È d’interesse notare che
solo Bambini – girato nella periferia
di Perugia[9] – porta un commento
parlato di Giorgio Bassani, segno della collaborazione con un autore lirico cui,
tuttavia, quell’incarico fu affidato con riluttanza[10]. Da poco restaurato,
anche Città che dorme girato nel ’52 è
ambientato a Roma: lo si scopre dall’inquadratura del Palazzo di Vetro all’angolo
di via XX Settembre, oggi demolito.
Non si conosce
la partecipazione di Goliarda Sapienza alla scrittura del commento parlato dei
documentari del compagno. L’Archivio Luce non fornisce i credits dei commenti, né per quanto riguarda la scrittura né per
ciò che concerne la voce utilizzata; non si tratta, tuttavia – almeno fino a Palio Marinaro (ambientato nella Livorno
del 1953) e a Festa a Positano del ’54
– di quella di Giorgio Notari, dal Ventennio storico collaboratore del Luce.
L’ascolto
dei testi porta a riconoscere da un lato una dichiarata lettura lirico-neorealista
dal punto di vista del contenuto, dall’altro un taglio giornalistico-sociologico
di stampo neo-verista; in essi sono presenti, inoltre, vocaboli arcaici che la
scrittura di Sapienza non conosceva nelle piccole cronache liriche di Destino coatto.
A questo
livello esistono prove di almeno due interventi significativi
dell’attrice/autrice atti ad attestare il valore della ricerca di una propria
voce lirica, oltre che un interessamento al mondo dell’inchiesta sul campo: tre
documenti radiofonici realizzati da Ernesto De Martino per la Rai nel 1954
(disponibili grazie all’ICBSA), dove si ritrova la voce di Sapienza che, nel
1951, aveva partecipato, in qualità di voce narrante femminile, al documentario
di Florestano Vancini Delta Padano[11].
Come
ricorda Mara Blasetti in un’intervista del 2010 a Emma Gobbato, Maselli e
Sapienza frequentavano Vancini. Lo stesso regista rammenta che, dopo quel corto
diffuso dal 1952, la sua carriera fu supportata da rapporti lavorativo-sociali
più solidi tra cui quello con Antonioni[12], com’era accaduto a
Maselli.
Ferrara è
la città natale di Vancini e Bassani, e Roma è un crocevia d’incontri per chi
al cinema dedica tutto: come Maselli e Bassani, co-sceneggiatori, insieme ad
Antonioni, Diego Fabbri, Suso Cecchi D’Amico, Turi Vasile e Roger Nimier, de I vinti di Antonioni (1953); Vancini esordirà
poi, sul grande schermo, con La lunga
notte del ’43 (1960), tratto dal romanzo omonimo di Bassani.
Come
anticipato, nel 1951 Sapienza lavora con Arnoldo Foà per Vancini. I due sono
attori di teatro con frequentazioni comuni (e lo saranno fino gli anni Ottanta):
non solo Visconti ma anche Guido Salvini, che diresse più volte Goliarda sul
palcoscenico[13].
Delta padano è un tirocinio per la sua
voce, primo strumento di avvicinamento alla letteratura. Dall’utilizzo della
voce sulla scena al textum filmico dialogico:
questo continuo sperimentare il sé attraverso nuove conoscenze dimostra un’adesione
profonda al proprio tempo in termini di militanza, e una spinta alla scoperta
del come servirsi della voce narrante che sarà utilizzata, di lì a qualche anno,
nei romanzi Carluzzu o Romanzo su Carlo (incompleto, 1959 o 1961-2 circa) e Lettera aperta
(versione integrale 1963 circa)[14].
Sebbene le
case di produzione di Vancini (Camera Confederale del Lavoro di Ferrara e Padus
Film) e Maselli (Opus Film) siano diverse, il materiale testuale risulta
tematicamente simile: il documentario del ferrarese porta all’attenzione alcuni
episodi apparentemente insignificanti della vita di alcuni bambini poveri, così
come in Bambini il gioco e la
quotidianità appaiono cifre di un mondo che si sta ricostruendo dopo la guerra.
Osservando entrambi i documenti si può parlare di opere con una forte presa
sulla realtà ma con un’inclinazione propagandistica – nel caso di Vancini
dell’allora da poco nata CGIL.
Sapienza voce-di-voci
– e non solo doppiatrice – appartiene a un mondo intellettuale che si riconosce
nei valori del comunismo (Maselli ne ha sempre dichiarato l’adesione) e che
porta avanti una lettura del presente che si misura con l’ideologia. Lei esprimerà
in molti passi dei Taccuini de Il vizio
di parlare a me stessa (Einaudi, 2011) il suo distacco dal PCI, che
ostacolò la sua professione di scrittrice; dal canto suo preferirà affidarsi a
un sentire anarchico poi votato, dall’86 circa, a un appoggio dato al Partito
Radicale.
In una
fase precoce di scoperta del mondo quali sono gli anni Cinquanta, Sapienza
cerca di costruire la propria espressività. Dal punto di vista stilistico-interpretativo,
la sua prova risulta efficace, in sintonia con le linee guida che si
riscontrano nei corti di documentaristi coevi.
Voce donna Se al
giovane del delta il nuovo giorno sembra non portare prospettive, la bimba che
si prepara ad andare a scuola è in fondo fortunata.
Voce uomo Perché
dodici bambini su cento muoiono qui prima dei cinque anni.
Voce donna Ma c’è
chi ascolta la notte il suo respiro per scoprire un ospite consueto.
Voce uomo La
tubercolosi, che colpisce uno e spesso due abitanti su dieci.
Voce donna Una
cartella che non viene raccolta da un bimbo che ha avuto altro a cui pensare è
un episodio quasi insignificante.
Voce uomo Ma
centinaia di episodi simili fanno nel delta circa il 40% di analfabeti […][15].
Le classi
povere sono testimoni del secondo dopoguerra, come conosciamo anche dall’explicit, in cui si assumono le
direttrici narrative della fame e del lavoro:
Voce donna […] È
questo il tempo in cui la gente ha imparato a vedere come proprie le sofferenze
di ognuno. Così si conclude la storia, semplice come il pianto di un bimbo cui
portano via la mamma.
Voce uomo Soltanto
è una storia vera. È la storia di trecentomila italiani ai margini delle più
fertili terre del nostro paese. Soltanto c'è chi ogni giorno guardando un
bambino ricorderà che alla vita dell'uomo occorre il pane sicuro. Il pane di
cui sono larghe le terre del Po quando gli uomini le riscattano dalle acque e
dall’arsura con l'azione solidale, nel lavoro.
Si noti anche
come il corto del ferrarese si contrapponga a L’Italia non è un paese povero
di Joris Ivens (1960), fortemente voluto da Enrico Mattei.
Se la
scrittura poetica per Goliarda Sapienza sarà autobiografica pura, i primi
racconti porteranno a un’attenzione verso alcuni vinti verghiani: disadattati,
persone psichicamente fragili e folli. Il mondo dell’infanzia sarà presentato,
invece, in quindici prose brevi di Destino
coatto. In questo senso non è casuale il coevo aiuto di Sapienza a Maselli
e Cesare Zavattini in Storia di Caterina,
episodio del film collettivo L’amore in
città (1953); l’emigrata siciliana Caterina Belgioioso – che Sapienza
seguirà durante le riprese, come rilevato anche da Gobbato – è protagonista di
una vicenda di abbandono di minore. Ciò testimonia anche il rapporto amicale-lavorativo
con Zavattini, che Goliarda proseguirà fino agli anni Ottanta.
Ai margini
della scrittura di Sapienza si collocano pratiche di lavoro varie, arricchite
da una voracità di conoscenza che si rintraccerà nei romanzi dagli anni
Sessanta in poi, in cui partire dal sé sarà anche osservare gli altri. Il
sostegno fornitole dall’ambiente intellettuale frequentato negli anni di Positano
(Cinquanta e Sessanta) – cui si aggiungono di continuo nuovi volti – è di
fondamentale indagine per comprendere come il contesto culturale abbia
delineato le possibilità di partecipazione alla cultura che Sapienza ha avuto:
numerose e con molti riscontri positivi, ben prima di ufficializzare il
mestiere di scrittrice.
Tutto ciò
è indicatore di un’intertestualità che si rivela in movimento, arricchita di
spunti e provenienze differenti, in grado di nutrire filologicamente la nascita
dell’opera.
[1] A tal proposito si consultino: Emma Gobbato,
Goliarda Sapienza sceneggiatrice. Il caso “I delfini” attraverso un carteggio
inedito, tesi dottorale discussa presso l’Università degli Studi di
Cagliari, tutors L. Cardone e M. Farnetti, A.A. 2015-2016; Maria Rizzarelli, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, Roma,
Carocci, 2018.
[2] Cfr. Alessandra
Trevisan, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale
(1996-2016), Milano, La Vita Felice, 2016, p. 40.
[3] Come già
evidenzia Gobbato (p. 46, nota 115) citando una lettera di Sapienza a Maselli
datata 1 marzo 1950 (Archivio Sapienza-Pellegrino) nella quale si fa
riferimento al documentario Ippodromi
all’alba di Blasetti del ’50.
[4] Elvira Seminara, Goliarda Sapienza, in Siciliane. Dizionario biografico, a
cura di Marinella Fiume, Siracusa, Emanuele Romeo editore, 2006, pp. 846-848.
[5] Goliarda
Sapienza, La mia parte di gioia,
Torino, Einaudi, 2013, p. 104. Il taccuino non riporta la data ma risale al
1989, anno della lavorazione de L’alba
di Maselli (1990) con protagonista Nastassja Kinski istruita nella dizione da
Sapienza.
[6] Al link <https://www.archivioluce.com/>.
Può essere utile, in questa sede, indicare il documentario L’arte cosmatesca di Vincenzo Sorelli; girato nel 1941 per
l’Istituto Luce porta il soggetto dello storico dell’arte Ercole Maselli, padre
di Francesco detto Citto.
[7] Marco Ravera, L’ultimo
neorealista. Intervista a Citto Maselli, «La Sinistra Italiana», 9.2.2016,
<http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/lultimo-neorealista-intervista-a-citto-maselli/>.
[8] Su questa figura
non si hanno notizie certe, tuttavia lo stesso cognome compare nel racconto La domenica di Carlo Emilio Gadda (I racconti, Garzanti, ’65): si tratta di
una famiglia di origini nobili del viterbese che partecipò anche al
Risorgimento; Giuseppina potrebbe esserne discendente. Si noti che lei è
l’unica donna citata nei credits dei
documentari di Maselli.
[9] Secondo una
lettera del marzo ’51 citata da Gobbato nella sua tesi si riconoscerebbe, in
particolare, l’inquadratura del cavalcavia di cui Maselli parla a Sapienza.
Secondo l’Archivio Luce, tuttavia, il corto risalirebbe al 1960.
[10] Nel volume di
Lino Micciché Gli sbandati di Francesco
Maselli: un film generazionale (Torino, Lindau, 1998) proprio Maselli
riferisce di non amare il commento di Bassani al corto e racconta delle
difficili condizioni economiche in cui versava lo scrittore.
[11] Che l’Archivio
Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ha reso disponibile nel 2012:
<https://youtu.be/vl2TG0O4UDI>.
[12] È stato Giacomo Gambetti a raccogliere questa
testimonianza nel suo volume Florestano
Vancini, Roma, Gremese editore, 2000, pp. 31-32.
[13] Come attestato nella bibliografia di Una voce intertestuale, cit., e in A.
Trevisan, «Recitando si impara a
scrivere»: Goliarda Sapienza a teatro, tra biografia e documenti inediti,
«Sinestesieonline», Anno XIII, n. 173.
[14] Secondo la cronologia della biografa Giovanna
Providenti ne La porta è aperta (Catania,
Villaggio Maori, 2010).