27/08/16

Alexandra David-Neel, MAGIE D’AMOUR ET MAGIE NOIRE



 [Hilly landscape and bog (Wicklow Mountains 2016). Foto Rb]


Alexandra David-Neel, Magie d'amour et magie noire (1937), Parigi, Plon, 1990


L’accostamento di David-Neel al Tibet, dove visse da esploratrice, antropologa e lama, è sempre interessante e utile, in quanto caratterizzato da conoscenza autentica dei luoghi, delle credenze e degli abiti mentali, oltre che da una non idealizzazione fornita di prossimità ideologica e psicologica.

Così anche in questo libro, in cui torna il motivo della magia, di cui si era già occupata, assieme ad altri elementi.

La prefazione avverte trattarsi di una storia vera che l’autrice ha preferito narrare in forma romanzesca, oltre che per ragioni creative, anche per meglio rendere “le descrizioni del paesaggio, l’esposizione delle idee del paese […] e l’atmosfera mentale” dei protagonisti (p. 9).

È una storia di avventure, passione amorosa e infrazione. Garab, servo di origine indo-tibetana, nato da una schiava violentata da un anacoreta indù fuorviato dalla retta via verso l’illuminazione, se ne va dalla casa del padrone in giovane età per divenire un fuorilegge e capobanda di successo, che batte le strade carovaniere derubando i mercanti. Détchéma, giovane bellissima, alla ricerca dell’innamorato che ha visto in sogno, ritiene di averlo trovato in Garab e lo segue, ricambiata da un amore passionale, intenso, che li porta dapprima alla pienezza, poi alla tragedia. Inseguiti da due soldati e separati da un’inondazione, pensano ciascuno dei due di aver perso l’altro. Détchéma ripara in un tempio di religiose buddhiste. Garab, ferito, viene curato da un medico dei Bons ed è ricoverato nel tempio. Riesce a fuggire dalle discutibili pratiche di magia nera dei sacerdoti di questo tempio. Uccide, senza rendersene conto, affogandolo per nasconderlo da chi lo cerca, dopo averlo salvato dai Bons, l’amico impazzito nelle pratiche di magia cui è stato sottoposto. Garab trova rifugio presso un eremita e pensa di avere infine scoperto la strada del pentimento e della rinascita, finché, seguendo segni di sopravvivenza che ha individuato presso il fiume, Détchéma lo raggiunge e la storia sentimentale riprende, ma ora Garab, nella confusione provocata dalla convinzioni religiose solo parzialmente e malamente apprese, la vede come un demone tentatore e le ultime pagine lasciano intuire che, quando lei cade in un precipizio, possa averla gettata lui stesso giù dalla rupe. Racconta in tarda età la storia della sua vita all’autrice, ormai divenuto, forse in seguito a ruberie ulteriori dopo la morte di Détchéma, un mercante ricco e rispettato.

Garab rappresenta forse la disposizione personale non sottoposta al controllo della legge morale costituita e vessata dal destino che porta a uccidere senza volerlo veramente: una forza delle emozioni che si dipana con naturalezza. 

Il percorso etico generale è quello buddhista delle cause che provocano effetti inevitabili sul dipanarsi della vita successiva: in tal senso l’incontro tra Détchéma e Garab è fatale e denso di conseguenze.

La magia del titolo compare spesso, tanto nella parte specificamente dedicata alla ricerca dell’immortalità, con pratiche efferate e denunciate da David-Neel, dei Bons, sia negli oracoli, nelle superstizioni e nelle pratiche quotidiane dei tibetani che compaiono nel romanzo.

L’impatto con gli occidentali è duplice. Una spedizione di due di loro, nell’ultima parte del volume, è caratterizzata dalla ricerca avida di oro e dall'ignoranza della cultura locale di uno dei due, e nel rispetto, invece, accompagnato dalla conoscenza della lingua e del Buddhismo da parte dell’altro.

Altopiani, montagne, distese erbose, fughe, assalti, effusioni, gelosia, tenerezza, l’elementarità selvatica di Garab, la coerenza etnologica dei personaggi di contorno rendono memorabile questo racconto.


[Roberto Bertoni]