[Hilly landscape and bog (Wicklow Mountains 2016). Foto Rb]
Alexandra David-Neel, Magie d'amour et magie noire (1937),
Parigi, Plon, 1990
L’accostamento di David-Neel al Tibet, dove visse
da esploratrice, antropologa e lama, è sempre interessante e utile, in quanto
caratterizzato da conoscenza autentica dei luoghi, delle credenze e degli abiti
mentali, oltre che da una non idealizzazione fornita di prossimità ideologica e
psicologica.
Così anche in questo libro, in cui torna il motivo
della magia, di cui si era già occupata, assieme ad altri elementi.
La prefazione avverte trattarsi di una storia vera
che l’autrice ha preferito narrare in forma romanzesca, oltre che per ragioni
creative, anche per meglio rendere “le descrizioni del paesaggio, l’esposizione
delle idee del paese […] e l’atmosfera mentale” dei protagonisti (p. 9).
È una storia di avventure, passione amorosa e
infrazione. Garab, servo di origine indo-tibetana, nato da una schiava
violentata da un anacoreta indù fuorviato dalla retta via verso l’illuminazione,
se ne va dalla casa del padrone in giovane età per divenire un fuorilegge e
capobanda di successo, che batte le strade carovaniere derubando i mercanti.
Détchéma, giovane bellissima, alla ricerca dell’innamorato che ha visto in
sogno, ritiene di averlo trovato in Garab e lo segue, ricambiata da un amore
passionale, intenso, che li porta dapprima alla pienezza, poi alla tragedia.
Inseguiti da due soldati e separati da un’inondazione, pensano ciascuno dei due
di aver perso l’altro. Détchéma ripara in un tempio di religiose buddhiste.
Garab, ferito, viene curato da un medico dei Bons ed è ricoverato nel tempio. Riesce a fuggire dalle discutibili pratiche di magia nera dei sacerdoti di
questo tempio. Uccide, senza rendersene conto, affogandolo per nasconderlo da
chi lo cerca, dopo averlo salvato dai Bons, l’amico impazzito nelle pratiche di
magia cui è stato sottoposto. Garab trova rifugio presso un eremita e pensa di
avere infine scoperto la strada del
pentimento e della rinascita, finché, seguendo segni di sopravvivenza che ha
individuato presso il fiume, Détchéma lo raggiunge e la storia sentimentale riprende, ma ora
Garab, nella confusione provocata dalla convinzioni religiose solo parzialmente
e malamente apprese, la vede come un demone tentatore e le ultime pagine lasciano
intuire che, quando lei cade in un precipizio, possa averla gettata lui stesso
giù dalla rupe. Racconta in tarda età la storia della sua vita all’autrice,
ormai divenuto, forse in seguito a ruberie ulteriori dopo la morte di Détchéma,
un mercante ricco e rispettato.
Garab rappresenta forse la disposizione personale non sottoposta al controllo della legge morale costituita e vessata dal destino che porta a uccidere senza volerlo veramente: una forza delle emozioni che si dipana con naturalezza.
Il percorso etico generale è quello buddhista delle cause che provocano effetti inevitabili sul dipanarsi della vita successiva: in tal senso l’incontro tra Détchéma e Garab è fatale e denso di conseguenze.
Il percorso etico generale è quello buddhista delle cause che provocano effetti inevitabili sul dipanarsi della vita successiva: in tal senso l’incontro tra Détchéma e Garab è fatale e denso di conseguenze.
La magia del titolo compare spesso, tanto nella
parte specificamente dedicata alla ricerca dell’immortalità, con pratiche
efferate e denunciate da David-Neel, dei Bons, sia negli oracoli, nelle
superstizioni e nelle pratiche quotidiane dei tibetani che compaiono nel
romanzo.
L’impatto con gli occidentali è duplice. Una
spedizione di due di loro, nell’ultima parte del volume, è caratterizzata dalla
ricerca avida di oro e dall'ignoranza della cultura locale di uno dei due, e nel
rispetto, invece, accompagnato dalla conoscenza della lingua e del Buddhismo da parte
dell’altro.
Altopiani, montagne, distese erbose, fughe,
assalti, effusioni, gelosia, tenerezza, l’elementarità selvatica di Garab, la
coerenza etnologica dei personaggi di contorno rendono memorabile questo
racconto.
[Roberto Bertoni]