["That tree had an unusual shape, it extended over the ladscape as though..."
(Killiney 2015). Foto Rb]
Pen-Ek Ratanaruang, Nymph. Tailandia 2009.
Con Yayanama Nopachai, Porntip Papanai, Wanida Thermthanaporn, Chamanun
Wanwitwatsara
I fantasmi del cinema asiatico contemporaneo, più
propriamente i deceduti di recente in attesa di trapassare all’aldilà per poi
tornare al nostro mondo sotto diverse identità nella rinascita di matrice
buddhista, non si manifestano sotto vesti bizzarre, prendono invece forme che
poco si distinguono da quelle umane e partecipano alla vita quotidiana dei
viventi finché non viene rivelata la loro natura illusoria.
L’abbiamo visto, per esempio, nel bel film di Kurosawa
Kiyoshi, Verso l’altra sponda.
In Nymph, il discorso si estende a
una concezione olistica e a una metamorfosi che ricorda, su un piano
comparativo, quelle ovidiane.
La pellicola di Ratanaruang presenta vari aspetti
sperimentali. L’intreccio è espresso con chiarezza, ma più intuitivamente che
per dichiarazione esplicita delle fasi cronologiche della fabula. Gli antefatti sono dati in modo frammentario e vengono
ricomposti dallo spettatore, pur senza grande difficoltà gnoseologica. La
telecamera indugia con sequenze di lunga durata sulle scene di natura, la
foresta in particolare, che hanno un significato profondo per i personaggi che
ne sanno intendere i contenuti mitici riposti, mentre
risultano naturalistiche per i personaggi più legati al mondo della concretezza
quotidiana.
L’antefatto è la morte di una ragazza per violenza
sessuale e, come verremo a sapere poco per volta, la sua trasformazione in
ninfa sotto forma di un albero. Nop è un fotografo che si reca, per eseguire un
reportage, nella foresta assieme alla
moglie May, impiegata un’impresa, più intenta alla modernità del marito, mostrando
attaccamento al cellulare e al computer.
May, stanca della relazione coniugale, ha intrecciato un rapporto sentimentale
con un collega, Korn. Nop è al corrente della situazione, ma tace per salvare
il matrimonio.
Il giorno dopo l’arrivo nella foresta, Nop scompare. Lo
vediamo in una scena retrospettiva abbracciare l’albero della ninfa. Ne notiamo
il cadavere non denunciato, in quanto ritrovato da un borseggiatore che lo
deruba.
Dopo vane ricerche di Nop, o per lo meno del suo supposto
cadavere, May torna in città. Korn lascia la moglie per vivere con May, che
però temporeggia.
Frattanto Nop ricompare a casa, con amnesie come se avesse avuto un trauma di un qualche tipo dopo essersi perso nella foresta. Ha comportamenti in parte
insoliti (non si nutre, ha bisogno di stare vicino alle piante), ma per il
resto è in tutto e per tutto simile a un essere umano sebbene, poco per volta,
si chiarisca che è un fantasma, rivelandosi infine come tale nella foresta,
dove May si reca di nuovo quando Nop sparisce di casa.
Nop appare di nuovo a May e Korn nel folto sotto forma umana, invitando Korn a chiedere perdono all’albero della ninfa (come fosse una divinità, con legame forse a credenza animistiche) e a tornare da sua moglie, smettendo di infliggere dolore agli altri. Il perdono viene attuato, ma il ritorno coniugale resta in sospeso, mentre May, affranta per la perdita del marito, di cui ora intuisce la vera natura, non sa se proseguire la propria vita con l’amante o no.
L’aspetto sentimentale è tenuto su un piano di
discrezione e delicatezza. La visione del mondo dei viventi come un tutt’uno
con quella dei trapassati, percepibile da una sensibilità ligia a principi religiosi
e filosofici, pare opporsi all’eccesso di secolarizzazione rappresentato dalla
società urbanizzata e dai comportamenti occidentalizzati che caratterizzano
coloro che hanno perso la consapevolezza della spiritualità del mondo antico.
È un film notevole sul piano estetico come pure su quello
ideologico.
[Roberto Bertoni]