Milano, Adelphi, 1998
Bela Lugosi (nome d’arte
dell’attore ungherese Béla Ferenc Dezső Blaskó, nato a Lugoj, oggi in
Romania, nel 1882) fu l’interprete cinematografico, dopo l’emigrazione negli Stati Uniti, di
una serie di film su Dracula, particolarmente noti quelli degli anni Trenta.
Ben adatti al ruolo la presenza fisica e il volto.
Franzosini ricostruisce
la vita dell’attore, in parte fondandosi su elementi reali e documentati della
biografia, in parte sviluppando un paradosso di identificazione tra interprete
e personaggio:
“Dote singolare dell’‘ultimo volto’ è di sciogliere, se ma ve n’è stata,
ogni volontaria maschera ingannatrice, di scolpire nella rigidezza della morte
la fisionomia delle passioni più esclusive, di quelle che recano in sé l’impronta
del destino. Analoga prerogativa possiedono le ‘ultime parole’.
[…].
Bela Lugosi spirò il 16 agosto 1956 pronunciando questa frase: ‘Io sono il conte Dracula, io sono il re dei vampiri, io sono immortale’. Ed è, tale suo trasformarsi in vampiro, un fatto che ormai pochi si sentono di contraddire.
Ho scritto queste pagine con il fine, che mi auguro non del tutto
superfluo, di cercar di comprendere le cause e di chiarire le circostanze in
cui l’orribile metamorfosi di Lugosi si è verificata” (p. 12).
L’ironia tra le righe
dell’intero testo si accompagna a una ricostruzione dell’epoca, dotata di
precisione antiquaria, di momenti comparativi, di una tendenza potenziale (per
dirla alla Calvino), cioè, in questo caso specifico, di ipotesi su quanto della
vita di Lugosi non si sa, ma si può dedurre osservando i suoi film e mettendoli
in relazione contrastiva con altre interpretazioni del personaggio di Stoker
nella storia del cinema.
Il libro si chiude su una
constatazione metalinguistica:
“La macchina da presa agisce […]
con l’attore come il vampiro con la sua vittima. Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore Luigi Pirandello riconosce al
cinema la facoltà di succhiare e assorbire la realtà viva degli interpreti ‘per
renderla parvenza evanescente’. La descrizione dello stato in cui essi cadono
dopo che la loro immagine è stata impressionata dalla pellicola presenta
sorprendenti analogie con le condizioni in cui viene a trovarsi un individuo
morso da un vampiro: ‘Avvertono confusamente, con un senso smanioso,
indefinibile di vuoto, anzi di vôtamento, che il loro corpo è quasi sottratto,
soppresso, privato della sua realtà…” (pp. 118-119).
[Roberto Bertoni]