01/12/15

Edgardo Franzosini, BELA LUGOSI


Milano, Adelphi, 1998

Bela Lugosi (nome d’arte dell’attore ungherese Béla Ferenc Dezső Blaskó, nato a Lugoj, oggi in Romania, nel 1882) fu l’interprete cinematografico, dopo l’emigrazione negli Stati Uniti, di una serie di film su Dracula, particolarmente noti quelli degli anni Trenta. Ben adatti al ruolo la presenza fisica e il volto.

Franzosini ricostruisce la vita dell’attore, in parte fondandosi su elementi reali e documentati della biografia, in parte sviluppando un paradosso di identificazione tra interprete e personaggio:

“Dote singolare dell’‘ultimo volto’ è di sciogliere, se ma ve n’è stata, ogni volontaria maschera ingannatrice, di scolpire nella rigidezza della morte la fisionomia delle passioni più esclusive, di quelle che recano in sé l’impronta del destino. Analoga prerogativa possiedono le ‘ultime parole’.

[…].

Bela Lugosi spirò il 16 agosto 1956 pronunciando questa frase: ‘Io sono il conte Dracula, io sono il re dei vampiri, io sono immortale’. Ed è, tale suo trasformarsi in vampiro, un fatto che ormai pochi si sentono di contraddire.
Ho scritto queste pagine con il fine, che mi auguro non del tutto superfluo, di cercar di comprendere le cause e di chiarire le circostanze in cui l’orribile metamorfosi di Lugosi si è verificata” (p. 12).

L’ironia tra le righe dell’intero testo si accompagna a una ricostruzione dell’epoca, dotata di precisione antiquaria, di momenti comparativi, di una tendenza potenziale (per dirla alla Calvino), cioè, in questo caso specifico, di ipotesi su quanto della vita di Lugosi non si sa, ma si può dedurre osservando i suoi film e mettendoli in relazione contrastiva con altre interpretazioni del personaggio di Stoker nella storia del cinema.

Il libro si chiude su una constatazione metalinguistica:

“La macchina da presa agisce […] con l’attore come il vampiro con la sua vittima. Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore Luigi Pirandello riconosce al cinema la facoltà di succhiare e assorbire la realtà viva degli interpreti ‘per renderla parvenza evanescente’. La descrizione dello stato in cui essi cadono dopo che la loro immagine è stata impressionata dalla pellicola presenta sorprendenti analogie con le condizioni in cui viene a trovarsi un individuo morso da un vampiro: ‘Avvertono confusamente, con un senso smanioso, indefinibile di vuoto, anzi di vôtamento, che il loro corpo è quasi sottratto, soppresso, privato della sua realtà…” (pp. 118-119).


[Roberto Bertoni]