[Person in Kyoto (2012). Foto Rb]
Yasujiro Ozu, Il figlio unico. Giappone, 1936. Titolo originale: 一人息子, Hitori Musuko. Con Choko Iida, Shinichi Himori, Masao Hayama
Questo classico del cinema non solo giapponese, il
primo parlato di Ozu, ha una profondità di contenuti determinata, oltre che
dallo svolgimento tematico, dallo stile, che consiste in sequenze di lunga
durata, riprese all’altezza del centro dello schermo, ambientazione che
suggerisce lo sfondo sociale (qui i filatoi della seta in provincia e una Tokyo
povera e alienante di quartieri dell’emarginazione vicini all’inceneritore),
attori di grandi capacità, la cui mimica semplice e quotidiana è chiaramente il
culmine di una sprezzatura capace di conferire l’impressione della naturalezza.
La storia inizia nel 1923 a Shinsu, il paese in cui
Otsune, che lavora ai filatoi, dopo un’iniziale titubanza, accetta di mandare
il figlio Ryosuke a studiare alla scuola superiore, poi all’università, a Tokyo,
per garantirgli un avvenire migliore. Nella seconda parte, ambientata nel 1936,
Otsune visita il figlio nella capitale: si è sposato, senza avvertirla, con una
giovane che risulta gradita alla madre; lavora in una scuola serale; guadagna
meno del necessario, ammette in un dialogo con Otsune di avere fallito,
rimproverato dalla donna, che rivela di avere venduto la casa e il campo per
mantenerlo agli studi, sacrificando insomma tutto. Ryosuke si riscatta agli
occhi della madre, destinando il denaro preso in prestito per ospitarla a dei
vicini, il cui figlio ha avuto un incidente: meglio la bontà della ricchezza. Le
rivelazioni di Otsune, tuttavia, hanno avuto un forte effetto su di lui,
scuotendolo: decide di continuare a studiare per ottenere un posto migliore e
garantire un avvenire al proprio figlio. Otsune ritorna al paese natìo; e nell’ultima
scena guarda nel vuoto, forse per delusione, forse semplicemente riflettendo sulle vicende recenti e sui trascorsi.
Non c’è niente di banale in questo film drammatico. I
personaggi hanno sfumature psicologiche che, nel bene e nel male, li rendono accettati dal loro
ambiente umano immediato. La denuncia sociale è piuttosto evidente. A conferma, secondo David
Bordwell, in questa pellicola “the themes generalize the social criticism”
tramite tre idee principali: il sacrificio dei genitori per i figli; la
delusione delle speranze; la nostalgia per un mondo scomparso sotto l’impulso
della modernizzazione [1].
[Roberto Bertoni]
[1] D. Bordwell, Ozu and the Poetics of Cinema, Londra,
British Film Institute e Princeton University Press, 1988, p. 270.