[Alienated see-through individuals... (Singapore 2015). Foto Rb]
David Harvey, Seventeen Contradictions and the End of Capitalism. Londra, Profile Books, 2014. Edizione Kindle
Harvey disseziona la situazione
del capitalismo attuale, servendosi di contraddizioni marxiste classiche, quali
quella tra valore e scambio e tra capitale e lavoro, la divisione del lavoro,
l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito.
Aggiornamenti vengono forniti al
contempo per contraddizioni che hanno assunto maggior peso in decenni recenti,
per esempio il rapporto tra capitale e natura e ciò che Harvey definisce, nel
titolo del capitolo 17, “The Revolt of Human Nature: Universal Alienation”.
Le analisi di ciascuna delle
contraddizioni sono penetranti e basate su strumenti di analisi marxiani. Non
ci soffermeremo tanto su questo aspetto, quanto sull’impianto generale
dell’argomentazione di Harvey, che nota un inasprimento del monetarismo, affermando a ragione che alla crisi evidente del neolibersmo, che
ha prodotto il crollo finanziario degli ultimi anni, si propongono “remedies
that emphasise austerity as the proper medicine to cure our ills”: rimedi che non
fanno altro che approfondire le divisioni tra chi ha e chi non ha, impoverendo la maggioranza e favorendo il
“billionaires club”, o, più tecnicamente, “as Branko Milanovic concludes, we are
witnessing the rise of a global plutocracy in which global power ‘is held by a
relatively small number of very rich people’”.
Del resto, spiega Harvey, non c’è da stupirsi se tali rimedi
emergono proprio adesso, perché “crises are moments of transformation in which
capital typically reinvents itself and morphs into something else”. Tuttavia, il fattore ineguaglianza, che si è
incrementato, non dovrà stupire perché, seguendo l’analisi di Harvey, è
costitutivo (anzi “foundational”) del capitale.
Secondo Harvey è utopico pensare
che il capitale possa riformarsi da sé e offrire opportunità di lavoro una
volta uscito dalla crisi su basi diciamo altruistiche, in quanto “capital
reinvests in jopb creation only when that activity is profitable”.
È proprio sull’ineguaglianza che
occorre far leva per modificare lo stato di cose esistente: “A reform movement
around reducing social inequaliuty can become the cutting edge for
revolutionary transformation”.
Nel proporre rimedi, Harvey
afferma la propria preferenza per l’aspetto di Marx che chiama “revolutionary
humanism”, cui aggiunge la parola “secular” qualche pagina più oltre,
opponendolo a “teological determinism”.
Nella parte finale del volume è
descritto il tipo di mondo da crearsi, fondato su valori quali l’abolizione
delle ineguaglianze materiali (col rilancio dello slogan “a ciascuno secondo le
proprie capacità e i propri bisogni”); i valori d’uso accessibili a tutti; la
limitazione dell’accumulazione privata del capitale; la mutazione dell’opposizione
di classe tra capitale e lavoro a favore di associazioni di produzione decise
liberamente; la liberazione del tempo di lavoro per creare individui
socialmene soddisfatti e utili.
[Roberto Bertoni]