01/09/15

David Harvey, SEVENTEEN CONTRADICTIONS AND THE END OF CAPITALISM



[Alienated see-through individuals... (Singapore 2015). Foto Rb]


David Harvey, Seventeen Contradictions and the End of Capitalism. Londra, Profile Books, 2014. Edizione Kindle


Harvey disseziona la situazione del capitalismo attuale, servendosi di contraddizioni marxiste classiche, quali quella tra valore e scambio e tra capitale e lavoro, la divisione del lavoro, l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito.

Aggiornamenti vengono forniti al contempo per contraddizioni che hanno assunto maggior peso in decenni recenti, per esempio il rapporto tra capitale e natura e ciò che Harvey definisce, nel titolo del capitolo 17, “The Revolt of Human Nature: Universal Alienation”.

Le analisi di ciascuna delle contraddizioni sono penetranti e basate su strumenti di analisi marxiani. Non ci soffermeremo tanto su questo aspetto, quanto sull’impianto generale dell’argomentazione di Harvey, che nota un inasprimento del monetarismo, affermando a ragione che alla crisi evidente del neolibersmo, che ha prodotto il crollo finanziario degli ultimi anni, si propongono “remedies that emphasise austerity as the proper medicine to cure our ills”: rimedi che non fanno altro che approfondire le divisioni tra chi ha e chi non ha, impoverendo la maggioranza e favorendo il “billionaires club”, o, più tecnicamente, “as Branko Milanovic concludes, we are witnessing the rise of a global plutocracy in which global power ‘is held by a relatively small number of very rich people’”.

Del resto, spiega Harvey, non c’è da stupirsi se tali rimedi emergono proprio adesso, perché “crises are moments of transformation in which capital typically reinvents itself and morphs into something else”. Tuttavia, il fattore ineguaglianza, che si è incrementato, non dovrà stupire perché, seguendo l’analisi di Harvey, è costitutivo (anzi “foundational”) del capitale.

Secondo Harvey è utopico pensare che il capitale possa riformarsi da sé e offrire opportunità di lavoro una volta uscito dalla crisi su basi diciamo altruistiche, in quanto “capital reinvests in jopb creation only when that activity is profitable”.

È proprio sull’ineguaglianza che occorre far leva per modificare lo stato di cose esistente: “A reform movement around reducing social inequaliuty can become the cutting edge for revolutionary transformation”.

Nel proporre rimedi, Harvey afferma la propria preferenza per l’aspetto di Marx che chiama “revolutionary humanism”, cui aggiunge la parola “secular” qualche pagina più oltre, opponendolo a “teological determinism”.

Nella parte finale del volume è descritto il tipo di mondo da crearsi, fondato su valori quali l’abolizione delle ineguaglianze materiali (col rilancio dello slogan “a ciascuno secondo le proprie capacità e i propri bisogni”); i valori d’uso accessibili a tutti; la limitazione dell’accumulazione privata del capitale; la mutazione dell’opposizione di classe tra capitale e lavoro a favore di associazioni di produzione decise liberamente; la liberazione del tempo di lavoro per creare individui socialmene soddisfatti e utili.


[Roberto Bertoni]