Londra, Chatto and Windus, 2013 (Kindle edition)
Oggi che la psicoanalisi, a livello di massa,
sembra aver perso molta della credibilità di un tempo, sostituita da
psicoterapie rapide e mirate a problematiche ristrette e specifiche, colpisce
questo volume articolato in storie di analisi, e di conseguenza storie di vita,
come i casi clinici che da Freud in poi costituivano la base di tanta
letteratura psicoanalitica.
Narrazioni per uscire da
una storia che imprigiona chi la produce e non la racconta: “When we cannot
find a way of telling our story, our story tells us – we dream these stories,
we develop symptoms, or we find ourselves acting in ways we don’t understand”.
Al contempo, lascia un senso di vuoto il fatto che
in molte di queste biografie l’analista non può garantire una guarigione, solo
rendere cosciente l’analizzato delle proprie sindromi e dinamiche interiori;
mentre in altri casi, si direbbe una minoranza, individuato il cerchio della
propria nevroticità e appropriatosene, l’analizzato sembra liberarsi tramite
l’azione.
In tutti i casi, la
psicanalisi è destinata a provocare un mutamento: “My work is about helping
people to change, this book is about change. And because change and loss are
deeply connected – there cannot be change without loss – loss haunts this
book”. Anche se
cambiare è, riconosce Grosz, una difficoltà, ma nella metamorfosi “if we don’t
accept some loss […] we can lose everything”
L’analista persegue tanto le proprie conoscenze
specifiche della materia quanto l’intuizione e l’empatia.
I titoli delle biografie cliniche sono
significativi, per esempio “How to praise can cause a loss of confidence”, che
tra l’altro tratta dell’eccessiva dose di lodi erroneamente oggi attribuita ai
bambini e che possono anche provocare l’effetto contrario a quello desiderato,
cioè “praise a child as ‘clever’ may not help her at school. In fact it may
cause her to under-perform”.
O titoli come “The gift of pain”, sul dolore in
quanto strumento conoscitivo, per dirla alla Leopardi, e rimedio proprio per
lenire la pena di vivere; “On the recovery of lost feelings”; e così di
seguito.
Sentimenti che sembrerebbero abbastanza innocui,
come il mal d’amore, possono sconfinare nella malattia: “facing reality means
accepting loneliness. And while loneliness can be useful – motivating us
to meet someone new, for example – a fear of loneliness can work like a trap,
ensnaring us in heartsick feelings for a very long time. At its worst,
lovesicknesss becomes a habit of mind, a way of thinking about the world that
is not altogether dissimilar from paranoia”.
[Roberto Bertoni]