13/06/15

Mario Novaro, UN BRANO DA MURMURI ED ECHI

[Portovenere 2015. Foto Rb]


Tratto dall’edizione definitiva di Murmuri ed echi a cura di G. Cassinelli. Milano, Scheiwiller, 1994


Pubblicato in prima stesura nel 1914 e rimaneggiato più volte nel corso di edizioni successive, articolato su descrizioni, riflessioni, interazione di poesia e filosofia, Murmuri ed echi di Mario Novaro riflette tanto la transizione dal pascolismo verso la poesia novecentesca, anticipando per certi versi Montale, quanto il laboratorio fervido della Riviera ligure, la rivista che Novaro diresse e su cui scrissero poeti a lui compatibili, quali Sbarbaro.

Il brano che segue, sulla relatività della comprensione umana e sull’aspirazione cosmica, in parte leopardiana, ma prevalentemente metafisica, verso un infinito che stenta a manifestarsi, nonché nella somma prettamente ligure di meditazione e natura, è tratto da una serie in prosa ritmica intitolata “Monti” (pp. 39-40 del volume).

“Il tutto, è vero, in ogni senso ci sfugge, e anzi come tale non è. Tutto che noi comprendiamo raduniamo a unità ma l’assoluta unità e sintesi sorpassa il nostro potere.

Il finito su sfondo infinito, il finito simbolo dell’infinito riman nostro campo nostra quiete, nostro ideale nostra eterna inquietudine.

Cime del pensiero, più sublimi che gli astri, più fredde e pure che le intatte nevi dei poli, non spegnete il battito del piccolo cuore dell’uomo, senza vertigine elevatelo a voi, che vi risponda e v’uguagli.

Monti che mescete l’aeree vette con l’azzurro cupo, mare turchino, specchio immenso del sole, oh pervadete di lucido azzurro, pervadetela di infinito questa umana vision della vita!”.


[Roberto Bertoni]