[Thai statuette (Private collection). Foto Rb]
Corea, 2013. Titolo originale: 마이 라띠마. Con Bae Soo Bin, Park Ji Soo, So Yoo Jin
Mai Ratima è un’immigrata vietnamita in Corea: la
sua vita familiare è alienante e degradata, sposata com’è, per ragioni di
visto, a un disabile mentale e molestata sessualmente dal cognato, per il cui
opificio tessile lavora, senza peraltro ricevere lo stipendio da mesi, essendo
pertanto impossibilitata a inviare denaro alla famiglia originaria, che ne ha
invece bisogno dato che la madre di Mai è malata di Alzheimer e la sorella ancora
a scuola. In occasione di percosse ricevute dal cognato in pubblico, la salva Soo
Young, uno sradicato che, in passato appartenente a una famiglia di classe
media, come si deduce da vari flashbacks, è ora dedito a espedienti per
sopravvivere. Vanno insieme a Seoul, dove conducono un’esistenza precaria da
diseredati. Lui a un certo punto trova un lavoro nell’ambiente della prostituzione
maschile, introdottovi da una ragazza che lo concupisce, Young Jin. Guadagnando
piuttosto bene, Soo Young abbandona Mai al suo destino. La giovane vietnamita,
tra l’altro in attesa di un figlio, si riduce a vivere vendendo cartone con un’emarginata
più anziana e dormento in una stazione della metropolitana. La nuova vita di
Soo Young si interrompe quando si intromette in un conflitto tra Young Jin e un
ricco potente che la rapisce per farne la propria concubina. Tornato da Mai,
Soo Young ne viene comprensibilmente rifiutato.
Nel finale, un che misterioso, dato che il film ci
nega uno spezzone che lo preceda, Soo Young pare tornato a una normalità, dato
che è vestito più da impiegato che da emarginato: cerca Mai presso l’ufficio
immigrazione e gli viene riferito che il suo permesso di soggiorno è stato
pagato. All’indirizzo di lei, un senso di colpa e vergogna lo dissuade dal
suonare il campanello. Nell’ultima scena, Mai, col figlio in braccio, è su un
pontile, in una situazione normalizzata.
La scena finale è spiegabile con la didascalia
iniziale, che consiste di una lettera alla famiglia di un’immigrante che vive in
Corea: “Ho avuto un periodo difficile, ma ora la Corea è la mia seconda patria”.
Anche se, in riferimento alla prima parte del film, tale dichiarazione risulta
piuttosto sarcastica.
L’intreccio riprende gli elementi sentimentali e l’esagerazione
propria delle storie che in TV e sul grande schermo si dipanano tipicamente in
Corea. Allo stesso tempo, viene contraddetta proprio la qualità melodrammatica
del racconto tramite i riferimenti realistici, la rappresentazione della povertà
urbana nella sua natura più drammatica, i dialoghi non banali e naturalistici,
le riprese della vita quotidiana con rumori naturali.
È un film senz’altro d’impegno, che insiste sul
pregiudizio nei confronti degli immigranti, riferendo le opinioni non solo dell’entourage dei protagonisti, ma di varie
persone colte in conversazioni occasionali al bar, al ristorante, sui trasporti
pubblici.
L’interpretazione di Park Ji Soo nella parte di
Mai Ratima è introversa ed espressiva, dotata di misura e penetrazione psicologica:
notevole.
[Roberto Bertoni]