India 1957. Con Sanil Dutt, Raaj Kumar, Rajendra Kumar,
Nargis
Radha, la protagonista
di questo film, sposa giovanissima, è colpita dalla sventura, con lo strozzino
che si appropria dei scarsi averi poco per volta e indebita la famiglia della
donna; il marito che perde entrambe le braccia, schiacciate da un masso mentre dissoda un campo, e per non essere di peso si
allontana da casa per sempre; un’alluvione che distrugge i raccolti; la perdita di un
figlioletto; gli altri due figli che crescendo si differenziano: Ramu, equilibrato
e responsabile, si sposa e conduce una vita tranquilla, mentre Birju, inasprito
dalle disgrazie e vendicativo, si incanaglisce, uccide infine l’usuraio e cerca
di rapire la figlia di questi, fermato dalla madre che gli spara uccidendolo.
Se lo stile è
prettamente melodrammatico, sebbene intercalato a momenti di attenuazione del tragico
tramite canti, danze e spunti comici, il contenuto è impegnato, anzi si tratta
di uno dei film indiani di maggiore rilievo sociale e discusso da varie
angolazioni critiche.
Da un lato, in relazione
al titolo, oltre ad essere polemico verso il libro dallo stesso titolo, di Catherine
Mayo (1927), che si opponeva all’indipendenza indiana, esso rappresenta un’allegoria
tanto dell’importanza della maternità in India (per cui si è evocato il culto
della dea madre [1]), quanto
dell’India come repositorio di identità sociale.
In quest’ultimo senso la forza d'animo nei confronti delle avversità, che così verghianamente si abbattono su Radha, rappresenta allegoricamente la rettitudine dell’India indipendente, la sua capacità di resistere con integrità nella mala sorte.
Similmente trasposta sulla Nazione si profila la dirittura della madre, che non cede alle lusinghe del benestante che sarebbe disposto a risolverle i problemi della vita materiale, mettendo però a repentaglio la dignità.
In quest’ultimo senso la forza d'animo nei confronti delle avversità, che così verghianamente si abbattono su Radha, rappresenta allegoricamente la rettitudine dell’India indipendente, la sua capacità di resistere con integrità nella mala sorte.
Similmente trasposta sulla Nazione si profila la dirittura della madre, che non cede alle lusinghe del benestante che sarebbe disposto a risolverle i problemi della vita materiale, mettendo però a repentaglio la dignità.
Una lettura psicanalitica
vede un complesso edipico nei rapporti col figlio Birju. L’uccisione del figlio,
tuttavia, ha motivazioni sociali: Radha sacrifica anche il bene più caro, un figlio,
per difendere l’onore della ragazza, pur figlia di un suo nemico, che il ragazzo
disonorerebbe rapendola.
In Radha, Chakravarty legge
la raffigurazione della madre della comunità, anche sulla base di una comparazione
tra Mother India e il diverso accento
di Arat, un film precedente di Khan sullo
stesso tema, ove si accentuava il carattere individuale della protagonista.
Stranamente, Radha ormai
anziana, all’inizio e alla fine del film, è, per il prestigio acquisito negli anni
nel villaggio, madrina del nuovo sistema di irrigazione, con funzione ideologica
di legittimazione dell’innovazione governativa; al contempo, difende socialmente
la tradizione, l’onore e la dignità, che sono certo valori etici più che nobili,
ma nel caso specifico, secondo letture di genere del film, anche la riconferma del
ruolo femminile arcaico.
[Roberto Bertoni]