Parigi,
Budapest e Torino, L’Harmattan, 2005
Lee si serve di un apparato teorico
prevalentemente semiotico/strutturalista, il che è più che legittimo, ma
soggettivamente ci distanzia dalla sua analisi per gli aspetti più specificamente
analitici; e ci pare un che datato a dire il vero il riferimento ancora nel
ventunesimo secolo a Metz e altri, non ci sembra che queste teorie di un tempo
apportino più di tanto all’analisi.
Detto questo, lo studio in questione ha
invece notevoli meriti nel mettere in rilievo sia l’originalità che i
riferimenti storico-culturali e la funzione sociale del film di Im Kwon Taek
(recensito su Carte allineate in data
13-7-2014).
Ben articolata la discussione sull’articolazione
narrativa della pellicola, parzialmente tramite la voce del cantore
tradizionale di pansori ripreso a
teatro, e parzialmente (Lee mette in rilievo la novità di questo meccanismo strutturale)
per mezzo della visualizzazione scenica del film. Tale contrappunto di
riferimento allo spettacolo teatrale e filmico distingue questa versione della Storia di Chunhyang dalle altre diciannove
riduzioni cinematografiche che l’hanno preceduta.
Sul piano del significato sociale, il pansori tradizionale non è semplicemente
una fiaba, ma aveva un significato
piuttosto eversivo, in quanto consentiva un matrimonio tra un esponente delle
classi alte e una donna nata da un matrimonio misto tra una gisaeng e un nobile: ciò, espone Lee,
indica una modalità di verosimiglianza, compensando al contempo la virtù
coniugale come fattore di legittimazione del matrimonio stesso; dal che Lee
trae la conseguenza che ciò che viene ivi rispecchiato è il fatto che “l’espérance
du peuple se réalise de manière pacifique, sans violence, ni révolution” (p.
189), nondimeno si assiste a un risveglio della consapevolezza di classe dei
ceti meno abbienti.
La pellicola di Im adatta con fedeltà gli
aspetti storici, ma “n’a pas un rapport direct avec le spectateur de notre
temps” (p. 192). Non rappresenta dunque “l’ésprit de revolte” (p. 197) del
cinema storico sud-coreano degli anni Ottanta, allegorico della politica e
società contemporanea, bensì, uscito nel 2000, anziché approfondire aspetti
polemici di classe e di genere, semplicemente rivive nostalgicamente il
passato. Tuttavia, c’è una tendenza innovativa, finanche di “révolte” nel suo “esthetisme,
sa form d’adaptation, sa prise en compte de la saveur du pansori, son harmonie
entre l’image et le son ainsi que la reconstitution de l’époque” (p. 198).
[Roberto Bertoni]