15/11/14

Enrica Maria Ferrara, IL REALISMO TEATRALE NELLA NARRATIVA DEL NOVECENTO: VITTORINI, PASOLINI, CALVINO


["An inner dialogue... So many contrasting voices... In a landscape-stage..." (Blessington 2014). Foto Rb]


Frutto di anni di ricerche e pubblicazioni, questo saggio si propone di mettere a fuoco, da un lato il rapporto in generale tra teatro e narrativa dall’angolazione di quest’ultima; e dall’altro di proporre una reinterpretazione dei tre autori esaminati in dettaglio partendo da considerazioni sull’apporto teatrale a loro romanzi e racconti.

Tra i presupposti teorici, si qualificano con evidenza particolare Szondi, Brecht e Contini. L’influsso di Brecht è soprattutto in relazione al realismo; quello di Contini al plurilinguismo; quello di Szondi per il concetto di “io epico” che penetra nl teatro una volta entrata in crisi la dimensione interpersonale autosufficiente. Altro elemento teorico particolarmente significativo è il riferimento al teatro “intransitivo” (p. 14) di Pirandello.

L’autrice si domanda “se esiste un’invariante che ci consenta di misurare la teatralità di un oggetto narrativo” e la trova in primo luogo nel “dialogo” (p. 19), inteso come una manifestazione del realismo. Assieme al plurilinguismo, il dialogo, e più in ampio l’intero influsso teatrale contribuiscono alla creazione di un “realismo teatrale” che, negli autori studiati, “si propone come una categoria ermeneutica nuova per ripensare il genere del romanzo ‘italiano’ realista” (p. 27), andando oltre impostazioni statiche e sondando nuove possibilità dinamiche dei testi.

Il percorso di ciascuno degli autori è ricostruito in primo luogo tracciando il loro rapporto col teatro; quindi individuando elementi di intertestualità con autori di teatro; infine costituendo parametri teorici e interpretativi.

Tra le tante considerazioni di Ferrara, qui solo qualche aspetto in specifica sintonia con la mentalità del recensore.

Nel caso di Vittorini, oltre al rapporto di questo scrittore con Wilder, viene messa in rilievo, soprattutto in Conversazione in Sicilia, una fascia shakespeariana, funzionante sia a livello di intertestualità che come elemento ideologico, chiave interpretativa “in funzione antiborghese” (p. 72) e “antifascista” (p. 78) e tensione vittoriniana verso una nuova forma teatral-narrativa capace di rivolgersi alle classi popolari.

Riguardo Pasolini, oltre a evidenziare il plurilinguismo di origine eminentemente continiana, vengono asserite le origini teatrali, originalmente, nel periodo friulano, predecessore del discorso indiretto libero del periodo romano. Viene messo inoltre in evidenza l’autobiografismo, che nella sua connotazione di teatralità è una forma di rappresentazione e autorappresentazione della “diversità” proclamata da Pasolini, sia in termini politici rispetto all’establishment, sia in termini di genere, sia infine rispetto alla dinamica tra autenticità e inautenticità.

Per Calvino, ancora una volta viene evidenziata la presenza teatrale nelle opere giovanili (i “dodici drammi” scritti tra il 1941 e il 1943, p. 156), dismesse per ragioni in parte politiche (appartenevano all’era fascista). Ferrara propone poi una propria risoluzione del rapporto tra realismo e fantastico in Calvino, vedendo “la genesi della poetica del comico” nei precedenti teatrali, e il taglio realista di tipo straniante nella teatralità brechtiana (p. 160).

Emerge da questo saggio la “complessità” (p. 188) del realismo e delle scritture analizzate in genere. Si tratta di un lavoro critico che rilancia la letterarietà del testo oltre all’analisi puntuale teorica e pratica in tempi in cui la critica letteraria pare invece essersi diluita in un eclettismo non sempre produttivo. Quello di Ferrara è un discorso costruttivo e articolato per rivelare nuove dimensioni.


[Roberto Bertoni]