27/10/14

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 21-25)



[Autumn Leaves (Dublin 2014). Foto Rb]


21.

scansione di autunno le foglie
che vegliano l’amore restio
sul greto della voglia di morire
incudine e martello un solo trespolo
per allontanare la furia della luce
e l’ìndice a cimelio della scorta
d’ombra. bravura già sarà non aver
malore né languore di tirannide la
trottola incapace di pietà. tu dammi
un angolo di cipresso una leccornìa
per la vergogna di esistere e la stazione
dentro l’occhio pavido di dadi da lanciare.
me includi l’arena della giacca per un gioco
di cristalli con le domeniche fangose
sotto guanciali nebbiosi, tragici.
il grappolo di mimosa è fregato
dal fischio del vento senza avvento
nel chiodo dell’orecchio saturnino
nomea di sé giammai l’armistizio.


22.

dio del pensiero storpio
abbuia già.
qui sulla mensola del fatto
si registra l’asola di piangere
la strada nulla dell’apostolo
generico.
non tradurre le ceneri del silenzio
tra le novene azzurre delle povertà
le crisi del vero sotto tramontana.
invano si palesa l’ermo della stirpe
l’inverno canuto del postremo
indizio. vicende di trascorsi
non credere al vieto annuncio
dell’angelicato stato. il cencio
della morte porta via laconico
l’albore vate del gerundio nuovo.


23.

al cospetto del cipresso voglio andarmene
alunna senza la cornucopia della gioia
in mano alla stazione della veglia
dove galleggia la fioca giostra della strada
e si danneggia l’agave bonaria
e l’aloe patteggia la dimora.
invano le frescure della notte
ingannano il talismano reso cieco
dalle asme vigliacche delle ciotole.
le cure vandaliche del cosmo
disperano le rotte del fantasma
le migliorie del falso per i mozzi.
in terra d’ascia le fanciulle estreme
dimostrano che l’inguine è la forza
abbreviata del cielo. imposta l’ombra
all’acuir del bavero il vento si troneggia.
il compleanno del frutto è sotto
stasi d’edera. nulla si accredita
alla faccia dell’ambulante. qui si muore
in palio di giocata dove la rotta spande
secoli di secoli e la mania esercita
vendetta. il panico già liso della fronte
intonaca la curva della morte.


24.

la pietà di un antro è quando giungi in ritardo
e sgretoli la messa in un sudario
antiquato come un bambino morto.
indugio e catrame il tuo sguardo rantola
dalla trottola dell’alba fino a notte fonda
e la ginestra grida il tuo dolore.
in fase di randagio il tuo rispetto
non trova pietà. all’interno del fato
la rondine stramazza. qui si coltiva
l’imbroglio per il pianto inutile di scarto.
indagine e premura non supportano
la rotta né il fieno per gli innamorati.
è una crosta d’anima che sanguina
vicino all’angelo custode così impotente.
in tutto lo scempio di subire si spegne
la patria di darsene darsena. muore l’aurora
che segna il verso e la paura è la forsennata
strage sul genio del bambino. l’area pedonale
della stirpe non sopporta famiglia. il diavolo
della discesa è ripida falena. il gaudio della iena
è in fase di strappo di morso letale.


25.

più vicina si scontenta la nebbia
erbaccia del cielo piena di denti
per impaurire la cialda della rupe
appena in tempo per cadere.
s’infrange il bozzolo del sole
bestemmiando lo zotico carbone
che lo attende amico inutile di fede.
invano lo scarabeo della mondezza
trafuga pallottole di pane
tanto la fuga lo schiaccerà al passo.
immensa la fortuna della ganga ridanciana
dove si avverte l’Ercole di giungere
chissà dov’e la mania del bello.
in ernia di ciabatta voglio correre
con la graziosa epidemia di piangere
sempre e perché con il motivo vecchio.
ingiungo a te di chiamarmi astrale
cometa elemosiniera, canestro chiuso
alla palla. anzi avverti i miei che sono
morta nonostante la criniera del gallo.



[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]