Hong Sang Soo, 누구의 딸도 아닌 해원 (Nobody’s Daughter Haewon). Corea,
2013. Regia di Hong Sang Soo. Con Kim Ja Ok, Kim Ui Sung, Jung Eun Chae, Lee
Sun Kyun, Riu Deok Hwan, Ye Ji Won.
Questa pellicola ha giustamente vinto il
premio “Best New Actress” della
Korean Association of Film Critics per l’interpretazione di Jung Eun Chae,
capace di conferire naturalezza, reticenza, emozione trattenuta, pacatezza
introversa e interiorità complessa al personaggio di Hae Won, una studentessa
di cinema che ha intrecciato una relazione col suo docente (e regista) Sung
Joon.
La relazione è terminata da più di un anno, ma
sono rimasti problemi irrisolti. Il giorno in cui la madre di Hae Won va a
salutarla perché parte per il Canada col figlio minore (non sappiamo perché,
intuiamo forse per un nuovo matrimonio), la solitudine e la depressione,
nonostante il buon rapporto con la madre, la spingono a telefonare all’ex
amante. I problemi del passato si ripresentano: lui, sposato con figli piccoli,
vuol fare tutto di nascosto, lei si adatta a malincuore ma il suo inconscio,
presente in una serie di sogni intercalati come se fossero reali alla
narrazione principale, vorrebbe rivelare la storia. I compagni di corso
pettegolano, ferendola anche se fa finta di niente. A un certo punto un litigio
della gelosia in cui lei rivela a Sung Joon di avere avuto una storia con un
ragazzo, finita anche quella perché è piuttosto ovviamente ancora innamorata
del Professore, e in cui lui rivela di avere confessato la storia alla moglie,
si conclude con la decisione improvvisa di lei di rompere perché tutto è troppo
difficile, le lacrime di lui, la pietà conseguente di lei. Nel finale, su una
panchina in vista di due bandiere emblematiche del girare perenne del vento, e
in vista di Seoul sotto un parco collinare, come se la natura promuovesse una
distanza di sicurezza dalla città problematica, si trattano con affetto, anche
se non si sa se ci sarà una vera svolta nelle loro vite.
Questo minimalismo intelligente e mantenuto su
una recitazione di qualità dice forse più della vita di quanto di spettacolare
continuiamo a vedere con sconforto in molte pellicole della dinamica di coppia. Le
parole sotto le righe rivelano la tristezza più delle urla. Hae Won sorride
sempre: quando è felice, quando è in crisi, quando dice cose negative. Non alza
mai la voce; al contempo non accetta passivamente il suo destino, eppure non
riesce a modificarlo pienamente; non condanna l’amante per il suo egoismo, ma
nemmeno lo approva.
Emerge anche il quadro delle differenze
generazionali. Hae Won rappresenta, ci pare, la nuova Corea, disinibita,
nondimeno ligia al rapporto di coppia, per quanto temporaneo esso possa essere;
con desideri di autoespressione e aspettative lavorative corrispondenti agli
interessi personali più che alla convenienza. La madre di Hae Won ha vissuto
per gli altri e le consiglia di vivere per se stessa.
La depressione rasenta la pulsione di morte
due volte quando questo concetto viene nominato, in un’occasione addirittura
come soluzione apparentemente ragionevole delle difficoltà di vita.
Si diceva di sogno e realtà. La dimensione
onirica dentro quella reale preserva il desiderio che la realtà frustra e lo mantiene in vita.
Ci sono diversi elementi di metalinguaggio.
Hae Won studia cinema, ha una relazione con un regista e conosce in una
libreria un secondo regista che le fa la corte. Mentre il contesto è
sentimentale, il sottotesto è manifestamente allegorico della cinematografia.
Un’ironia, una ripetitività con varianti delle
situazione e una quotidianità del piccolo che ricordano in parte Romher su un piano di intertestualità, oltre
alla conferma simultanea di una fuga dalla bloomiana “anxiety of influence” in direzione di un idioletto marcato, fanno di questo film di Hong un testo che si
distingue per profondità e nitore stilistico.
[Roberto Bertoni]