In Understanding
Religion and Popular Culture, a cura di T.R. Clark e D.W. Clanton Jr., Abingdon
(Oxon) and New York, Routledge, 2012, pp. 41-55.
Cowan prende in considerazione un problema che si
ripropone spesso nelle analisi della cultura cosiddetta “popolare”, ovvero se
quanto da essa espresso va ritenuto una banalizzazione di problematiche della
cultura cosiddetta “elevata” o di aspetti delle istituzioni e delle ideologie
della vita reale, oppure invece una riflessione da prendersi “sul serio”, un’altra
modalità, cioè, di esprimere elementi di soliti visti con serietà.
La risposta dello scrivente è che entrambi gli aspetti
sono spesso compresenti, vuoi nella
fantascienza, vuoi nella letteratura sentimentale e di evasione anche sotto
forma di rappresentazione per il cinema non impegnato e di sceneggiati
televisivi.
Cowan pare, in fin dei conti, propendere per una visione
positiva della religione nella fantascienza.
Espone infatti come la fantascienza abbia spesso
utilizzato la religione a livello tematico. Sebbene vari critici la deridano
per la semplificazione cui è sottoposta in parecchi testi di fantascienza,
Cowan dimostra che la ritualità, come l’attesa del Messia, la presenza dei
Profeti e delle profezie (negli esempi su cui più di altri si sofferma, Star Trek: Deep Space Nine e Babylon 5), hanno contenuti
effettivamente religiosi nella forma in cui sono espressi come pure nei
contenuti, anche se l’approccio non è necessariamente quello propriamente
religioso.
In ogni caso, conclude, la fantascienza pone questioni di
possibilità future della religione e di speculazione non necessariamente inane
o commerciale anche quando si pone domande del tipo se i robot abbiano un’anima,
se gli alieni adorino un Dio, se le divinità terrestri (un topos ricorrente) vengano dallo spazio stellare. L’effetto della
fantascienza rispetto al pensiero che suscita riguardo alla religione, in breve,
è di portare a interrogarsi sul fenomeno religioso e sui vari aspetti della
presenza o meno di Dio.
[Roberto Bertoni]