15/11/13

Elena Raisi, DIRE BEATRICE: ASPETTI DELLA NOMINAZIONE NEL PARADISO DI DANTE


Sì com’è scritto: Nomina sunt consequentia rerum”. Questa massima, che Dante sembra ribadire col biblico “Scriptum est, se in teoria rimane estensibile a ogni parola, in pratica si riferisce particolarmente ai nomina per eccellenza, cioè a quelli propri.1
Così scrive Remo Fasani, che dedica all’analisi del nome di Beatrice un’intera sezione della categoria enumerazione.
La notevole quantità di ricorrenze del nome Beatrice nella terza cantica, ed il modo in cui il poeta crea una quantità di richiami con la radice del nome, così che la presenza dell’amata intessa l’intero tessuto poetico, rileva l’importanza del criterio nominativo nel quadro delle evocazioni di questo personaggio-chiave, tanto più che l’abituale parsimonia del sommo poeta nel “far nomi” è piuttosto nota.
Dunque, il nome di Beatrice ricorre specialmente nella cantica che dovrà rivelare la “verità” su di lei, ovvero dire quale “miracolo” ella sia.
Se poi questo nome deve risaltare per significatività, esso si troverà all’interno di contesti che rilevino fasi cruciali della narrazione poetica ed in posizioni di chiara visibilità all’interno del testo.
Per quanto riguarda il significato delle ricorrenze ed il loro ricorrere all’interno di uno specifico contesto, va rilevato che le più numerose riguardano tre aspetti delle funzioni di Beatrice all’interno della struttura complessiva del Paradiso: la funzione di mezzo di spostamento, che consente a Dante di “trasumanar” e seguire quindi la sua nuova guida nel cammino attraverso i cieli;2  la funzione di guida esperta del luogo, in grado di dirimere i dubbi di Dante con sicurezza e chiarezza; la funzione di mediazione tra il poeta e le anime. Quest’ultima funzione è frequente soprattutto nei canti finali, dove il rendere omaggio ad alte personalità, meritevoli di più lunghi indugi e spiegazioni, richiede lo speciale intervento di una auctoritas.
Secondo il tipo di funzione che sta impersonando, Beatrice presenta una serie di attributi caratteristici, quali il cambiamento di espressione e/o di stato d’animo ed il progressivo splendore di occhi e sorriso.
I passi in cui troviamo più dettagli al riguardo o sono dedicati ai passaggi di cielo oppure Dante compie un’azione, pone una domanda o risponde in modo da rendere la sua guida fiera di lui: “Bëatrice eclissò ne l’oblio. / Non le dispiacque, ma sì se ne rise, / che lo splendor de li occhi suoi ridenti/ mia mente unita in più cose divise”.3
Può anche accadere che la sua presenza venga solo evocata dal nome, se nel passaggio in questione il focus è rappresentato da una questione dottrinale di grande rilevanza o se ci si trova alla presenza di anime particolarmente influenti (Par XVII, 4-6).
Ed effettivamente, salendo attraverso i cieli, le spiegazioni di Beatrice riguardanti la “dottrina” si fanno più rare, essendo per lo più delegate alle anime di santi teologi. Tuttavia, proprio lo straordinario splendore di Beatrice segnala l’eccezionalità de “la santa lampa” appena citata, focalizzando l’attenzione del lettore sul suo “avvento” (Par XV, 34-35). Per quanto riguarda invece la posizione delle ricorrenze, notiamo che il nome di Beatrice ricorre specialmente negli incipit di canto, talvolta negli explicit e più di una volta soltanto in canti di argomento cruciale all’interno dell’opera.
Come sottolineato da Fasani, proprio gli inizi sono i luoghi dedicati alla narrazione del viaggio che, lo ricordiamo, è reso possibile proprio dalla capacità della donna di fare “trasumanar” il poeta. In quanto dotato di una vista umana, e quindi limitata, Dante spesso non riesce a reggere lo splendore delle anime e del sorriso di Beatrice.
Ce lo ricorda proprio uno di questi incipit (canto XXI) dove la donna non sorride per non danneggiargli la vista con la sua luce: “‘Tu hai l’udir mortal sì come il viso’, / rispuose a me; ‘onde qui non si canta/ per quel che Bëatrice non ha riso’”.5
Da qui in avanti, gli inizi in cui compare il nome di Beatrice si fanno numerosi (Par XXIII, XXIV, XXV, XXIX) e con quelli dei canti XXX e XXXII mettono in luce il viaggio della donna, oltreché quello del poeta, fino a che Beatrice perviene dapprima ad una perfetta sintesi con la se stessa della Vita Nuova (XXX, 13-33), quindi al ricongiungimento con le “donne benedette”6 (If I, 124-125) che insieme a lei avevano consentito a Dante il viaggio di salvazione.
Ma non vanno dimenticati gli explicit, sebbene le ricorrenze del nome di Beatrice siano più rare, in questa posizione; in particolare, gli ultimi versi dei canti III (124-29) e XXV (136-37) sono caratterizzati dalla presenza del nome entro le ultime due terzine, cosa che conferisce all’evocazione della donna la massima visibilità. 
Sempre parlando di Paradiso XXV, arriviamo alla questione dei canti dove la presenza di Beatrice riecheggia in più luoghi, oltre ad appoggiarsi all’evocazione del suo nome. Si tratta di casi eccezionali e solo in questo canto troviamo ben cinque ricorrenze, mentre i canti V, XVII, XXIV e XXXI ne contano quattro; gli altri canti, se Beatrice vi è nominata direttamente, ne contano al massimo due.
Se dunque il fatto di “nominare” è così raro, tanto più fa riflettere l’utilizzo, per così dire “intensivo” del nome di Beatrice nel Paradiso.
Del resto, poiché il nome proprio ha la capacità di dire al massimo grado la vera natura di chi lo porta, colei che nel Paradiso esprime interamente il proprio criterio di verità, non potrà che essere nominata qui più che altrove, nel luogo in cui la “gentilissima” (Vita Nuova) si rivelerà come la beata Beatrice, miracolo incarnato.

NOTE

1 Remo Fasani, Le parole che si chiamano. I metodi dell’officina dantesca, Ravenna, Longo, 1994, p. 107.
Par I, 43-84.
Par X, 58-63.