“Sì
com’è scritto: Nomina sunt consequentia rerum”. Questa massima,
che Dante sembra ribadire col biblico “Scriptum est”, se in teoria rimane estensibile a
ogni parola, in pratica si riferisce particolarmente ai nomina per
eccellenza, cioè a quelli propri.1
Così scrive Remo Fasani, che dedica
all’analisi del nome di Beatrice un’intera sezione della categoria enumerazione.
La
notevole quantità di ricorrenze del nome Beatrice nella terza cantica, ed il
modo in cui il poeta crea una quantità di richiami con la radice del nome, così
che la presenza dell’amata intessa l’intero tessuto poetico, rileva
l’importanza del criterio nominativo nel quadro delle evocazioni di questo
personaggio-chiave, tanto più che l’abituale parsimonia del sommo poeta nel
“far nomi” è piuttosto nota.
Dunque, il nome di Beatrice
ricorre specialmente nella cantica che dovrà rivelare la “verità” su di lei,
ovvero dire quale “miracolo” ella sia.
Se poi questo nome deve risaltare per
significatività, esso si troverà all’interno di contesti che rilevino fasi
cruciali della narrazione poetica ed in posizioni di chiara visibilità
all’interno del testo.
Per quanto riguarda il significato
delle ricorrenze ed il loro ricorrere all’interno di uno specifico contesto, va
rilevato che le più numerose riguardano tre aspetti delle funzioni di Beatrice
all’interno della struttura complessiva del Paradiso: la funzione di mezzo
di spostamento, che consente a Dante di “trasumanar” e seguire
quindi la sua nuova guida nel cammino attraverso i cieli;2 la funzione di guida esperta del luogo, in
grado di dirimere i dubbi di Dante con sicurezza e chiarezza; la funzione di
mediazione tra il poeta e le anime. Quest’ultima funzione è frequente
soprattutto nei canti finali, dove il rendere omaggio ad alte personalità,
meritevoli di più lunghi indugi e spiegazioni, richiede lo speciale intervento
di una auctoritas.
Secondo il tipo di funzione che sta
impersonando, Beatrice presenta una serie di attributi caratteristici, quali il
cambiamento di espressione e/o di stato d’animo ed il progressivo splendore di
occhi e sorriso.
I passi in cui troviamo più dettagli al
riguardo o sono dedicati ai passaggi di cielo oppure Dante compie un’azione,
pone una domanda o risponde in modo da rendere la sua guida fiera di lui: “Bëatrice eclissò ne l’oblio. / Non le
dispiacque, ma sì se ne rise, / che lo splendor de li occhi suoi ridenti/ mia
mente unita in più cose divise”.3
Può anche accadere che la sua presenza
venga solo evocata dal nome, se nel passaggio in questione il focus è rappresentato da una questione
dottrinale di grande rilevanza o se ci si trova alla presenza di anime
particolarmente influenti (Par XVII, 4-6).
Ed effettivamente, salendo attraverso i
cieli, le spiegazioni di Beatrice riguardanti la “dottrina” si fanno più rare,
essendo per lo più delegate alle anime di santi teologi. Tuttavia, proprio lo
straordinario splendore di Beatrice segnala l’eccezionalità de “la santa lampa”
appena citata, focalizzando l’attenzione del lettore sul suo “avvento” (Par XV,
34-35). Per quanto riguarda invece la posizione
delle ricorrenze, notiamo che il nome di Beatrice ricorre specialmente negli incipit
di canto, talvolta negli explicit e più di una volta soltanto in
canti di argomento cruciale all’interno dell’opera.
Come sottolineato da Fasani, proprio
gli inizi sono i luoghi dedicati alla narrazione del viaggio che, lo
ricordiamo, è reso possibile proprio dalla capacità della donna di fare
“trasumanar” il poeta. In quanto dotato di una vista umana, e quindi limitata,
Dante spesso non riesce a reggere lo splendore delle anime e del sorriso di
Beatrice.
Ce lo ricorda proprio uno di questi incipit (canto XXI) dove la donna
non sorride per non danneggiargli la vista con la sua luce: “‘Tu hai l’udir mortal sì come il viso’, /
rispuose a me; ‘onde qui non si canta/ per quel che Bëatrice non ha riso’”.5
Da qui in avanti, gli inizi in cui
compare il nome di Beatrice si fanno numerosi (Par XXIII, XXIV, XXV,
XXIX) e con quelli dei canti XXX e XXXII mettono in luce il viaggio della
donna, oltreché quello del poeta, fino a che Beatrice perviene dapprima ad una
perfetta sintesi con la se stessa della Vita Nuova (XXX, 13-33), quindi
al ricongiungimento con le “donne benedette”6 (If I, 124-125) che insieme a
lei avevano consentito a Dante il viaggio di salvazione.
Ma non vanno dimenticati gli explicit,
sebbene le ricorrenze del nome di Beatrice siano più rare, in questa posizione;
in particolare, gli ultimi versi dei canti III (124-29) e XXV (136-37) sono
caratterizzati dalla presenza del nome entro le ultime due terzine, cosa che
conferisce all’evocazione della donna la massima visibilità.
Sempre parlando di Paradiso XXV,
arriviamo alla questione dei canti dove la presenza di Beatrice riecheggia in
più luoghi, oltre ad appoggiarsi all’evocazione del suo nome. Si tratta di casi
eccezionali e solo in questo canto troviamo ben cinque ricorrenze, mentre i
canti V, XVII, XXIV e XXXI ne contano quattro; gli altri canti, se Beatrice vi
è nominata direttamente, ne contano al massimo due.
Se dunque il fatto di “nominare” è così
raro, tanto più fa riflettere l’utilizzo, per così dire “intensivo” del nome di
Beatrice nel Paradiso.
Del resto, poiché il nome proprio ha la
capacità di dire al massimo grado la vera natura di chi lo porta, colei che
nel Paradiso esprime interamente il proprio criterio di verità, non
potrà che essere nominata qui più che altrove, nel luogo in cui la “gentilissima” (Vita Nuova) si
rivelerà come la beata Beatrice, miracolo incarnato.
NOTE
1 Remo Fasani,
Le parole che si chiamano. I metodi dell’officina dantesca, Ravenna,
Longo, 1994, p. 107.
2 Par I, 43-84.
3 Par X, 58-63.