01/07/13

Carlo Bordoni, IL ROMANZO SENZA QUALITÀ



Sottotitolo: Sociologia del nuovo rosa. Napoli, Sapere, 1984

È un libro che abbiamo ripreso in mano, sottratto a un ridimensionamento della libreria casalinga, dopo tanto tempo e ci è sembrato ancora valido in vari suoi aspetti.
Bordoni contestava il “pregiudizio” secondo il quale la paraletteratura, nella fattispecie il romanzo rosa, si possa semplicemente considerare “frutto dell’industria editoriale di massa, fabbricato in serie” (p. 15), deprivandolo così di storicità e dimenticando che le origini stanno nella ripetitività delle opere già della cultura greca (l’epos), derivando insomma la letteratura colta e no dalla stessa “matrice” (p. 16), che comprende anche il fiabesco e la tradizione orale. Si passa in seguito attraverso i modelli ottocenteschi, pur restando ivi nel campo della letteratura classica e di buona qualità, per arrivare infine all’appendice e al rosa vero e proprio del Novecento, rifiorito col passare del tempo a partire dagli anni Novanta.

Il romance, in cui si iscrive il rosa, precede il novel; due termini da intendersi come nella definizione del 1785 di Clara Reeve: “novel è una rappresentazione di vita e costumi reali, al tempo dello scrittore. Il romance descrive […] ciò che non è mai successo, né probabilmente succederà mai” (p. 20). Secondo Scholes and Kellogg “i personaggi principali di un romance tipico sono senza dubbio esseri umani, ma […] eccezionalmente affascinanti e, di solito, virtuosi e ligi all’onore nonostante le terribili circostanze in cui vengono a trovarsi” (p. 21). Il romance, come sostiene Frye, è legato all’intrattenimento, ma c’è di più: “la classe sociale e intellettuale dominante tende a proiettare i suoi ideali in una qualche forma di romance, in cui gli eroi virtuosi e le eroine bellissime rappresentano gli ideali, e i cattivi la minaccia che ostacola l’influsso dei primi sulla società” (p. 22).

In genere nella narrativa d’appendice, fin dall’Ottocento, si pensi a personaggi come Cidòcq, Lupin, Fantomas, Rocambiole, “traspare sempre una qualche istanza sociale edulcorata e sfuggente” (p. 29), in funzione del fatto che “romanzo popolare e romanzo sentimentale s’incontrano con molta naturalezza, sull’onda di […] ideali piccolo-borghesi, per porre le condizioni necessarie alla nascita del romanzo rosa” (p. 30). 

Alla ripetitività della letteratura rosa entro la cultura di massa è legato il piacere della lettura. A essa si accompagna la serialità. Una serie di aspetti fa rientrare il rosa nel modello consumistico della moderna letteratura di massa. Nella storia del rosa italiano si parte da ambientazioni aristocratiche o alto-borghesi per muovere coi decenni verso anche altri strati sociali, onde favorire i meccanismi di immedesimazione di un pubblico che, prevalentemente femminile, man mano si compone di persone di cultura media mentre le persone di cultura più bassa sembrano aderire piuttosto alle varianti televisive, che d’altronde coinvolgono spettatori di ogni ceto. 

Tanto che “l’eroina del nuovo rosa, in genere, svolge un’attività fuori casa” (p. 87), ha attività sessuali, esprime idee e opinioni, nondimeno il lieto fine, rassicurante ed edulcorato, la spinge verso il matrimonio come prospettiva di felicità: “ogni questione, ogni contrasto, ogni lacerazione interiore è destinata a sciogliersi nella rivalutazione dell’amore e del sentimentalismo che vince ogni cosa” (p. 153).

Secondo l’autore, questa è una connotazione negativa, in quanto combinandosi “pessimismo sociale e ottimismo individuale”, si ha un “ingenuo romanticismo” che “nasconde la pericolosa […] sopravvalutazione di un umanesimo allo stato di natura” (p. 154).


[Roberto Bertoni]