15/01/13

Catherine Wihtol de Wenden, LA QUESTION MIGRATOIRE AU XXIe SIÈCLE




[Florist in Dublin. Foto Rb]


Catherine Wihtol de Wenden, LA QUESTION MIGRATOIRE AU XXIe SIÈCLE. Parigi, SciencesPo, 2010.

Gli studi sulle migrazioni si sono approfonditi e ampliati negli ultimi decenni in relazione principalmente alla dimensione globale dei fenomeni migratori; alla quantità delle persone coinvolte (circa quattrocento milioni su scala planetaria); agli spostamenti non solo da Sud a Nord e da Est a Ovest, ma da Sud a Sud, da Est a Est; alla modificazione dei pattern tradizionali riguardanti le motivazioni (se si emigra in prevalenza per povertà e per migliorare una condizione personale e familiare, questa non è l’unica ragione), la permanenza (non necessariamente la parabola migratoria va da uscita dal paese di origine, soggiorno nel paese ospite, ritorno dopo periodi prolungati di assenza al luogo natio), la maggiore facilità di contatti col paese di origine a causa dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche e delle opzioni di viaggio; alla presenza crescente di comunità transnazionali e diasporiche;alla dinamica multietnica che ha spesso sostituito l’integrazione nella cultura dominante del paese di arrivo; alla demonizzazione dell’immigrante in troppi casi in Occidente; ai fenomeni di terrorismo internazionale.

Di tutti questi problemi si occupa Wihtol de Wenden in questo volume utile e riassuntivo delle posizione espresse anche altrove dall’autrice, con un rilievo particolare, in questo caso, alla trasformazione secondo la quale “les migrations internationales érodent [...] les deux piliers du système international que sont la souveraineté (l’Etàt) et la citoyenneté (la nation)” (p. 15).

Gli Stati vedono spesso le migrazioni come minacce, mentre al contempo la dialettica dello sviluppo e l’uso della forza lavoro da parte delle forze produttive dominanti la richiedono. Le istituzioni internazionali sottoscrivono il diritto degli individui a spostarsi liberamente, che è un “droit de l’homme fondamental: celui du droit à la migration, à la mobilité pour changer de vie” (p. 90), eppure gli Stati pongono limitazioni. Le frontiere esistono ancora e un mondo senza frontiere non è facilmente, per ora, raggiungibile.

“Mais la frontière est aussi intérieure aux États: pour les extracommunitaires, le défaut de papiers en règle constitute une frontière, lourde de conséquences pour le travail, la vie quotidienne, la mobilité” (p. 89).

La società, su scala mondiale, è ormai caratterizzata dal nomadismo che trasforma anche le identità personali e collettive. Forse, osserva l’autrice, anche il termine multiculturalismo dovrebbe essere sostituito da cosmopolitismo, transnazionalismo e dinamiche diasporiche.

Alla caduta delle barriere geografiche, una delle più evidenti delle quali è la caduta del muro di Berlino, si accompagna una crisi delle barriere giuridiche, come pure di quelle categoriali, come “la dichotomie travailleurs étrangers/réfugiés” (p. 26): la stessa persona può infatti essere di volta in volta “sans-papiers, étudiant, touriste, travailleur, salarié, expert, demandeur d’asile, candidat au regroupement familial” (p. 28).

Uno dei problemi dell’Europa è il fatto che, pur esseno diventata una delle zone di maggiore immigrazione del mondo “tarde à se reconnaître comme telle, car elle a longtemps considéré l’immigration comme un phénomène provisoire, non constitutif de son identité” (p. 49).

La proposta di Wihtol de Wenden è logicamene quella della società multiculturale, ovvero dell’accettazione dell’alterità, in un mondo divenuto ormai pluricentrico e transnazionale.


[Roberto Bertoni]