03/10/12

Edoardo Crisafulli, IGIENE VERBALE. IL POLITICAMENTE CORRETTO E LA LIBERTÀ LINGUISTICA



Prefazione di S. Di Michele, Firenze, Vallecchi, 2004


Crisafulli mette in rilievo gli aspetti contraddittori del dibattito statunitense sul politicamente corretto, che contrappone, paradossalmente, due opposti schieramenti:

“I conservatori di stampo liberista non hanno dubbi: il politically correct con la sua filosofia, il multiculturalismo, è la quinta colonna del terzomondismo in Occidente, e persegue un lucido disegno sovversivo: nientedimeno che la distruzione della civiltà occidentale. Gli intellettuali della sinistra radicale, invece, stanno dall’altra parte della barricata: il politicamente corretto, secondo loro, non è altro che un epifenomeno di una battaglia ideologica più vasta in difesa della diversità culturale minacciata dalla globalizzazione e dal Pensiero unico occidentale” (p. 22).

Le posizioni sono in realtà più variegate, come l’autore stesso spiega, e comprendono motivazioni dell’uso di termini politicamente corretti che oscillano tra la simpatia e l’adesione umana alla disabilità e alle marginalità, e l’uso ipocrita e puramente di facciata.

Nei differenti casi, si tratta di una disputa non solo linguistica, ma anche e soprattutto ideologica, che coinvolge gli atteggiamenti dei partecipanti rispetto all’identità etnica come pure nei confronti della diversità da norme che del resto non appaiono più assolute come potevano invece sembrare anche solo qualche decennio fa.

Negli Stati Uniti, la sinistra, così come espone Crisafulli, pare essersi appropriata di una “identity politics” che “rinnega la solidarietà universalistica della tradizione liberale dell’illuminismo e del marxismo classico” (p. 32) per insistere invece sulle differenze razziali, nazionali, sessuali, ecc., che costituiscono aggregati di solidarietà, sostituendo la coscienza di classe. Da parte sua la destra non solo respinge in certi casi quelli che paiono eccessi di utilizzo del politically correct, ma talora utilizza ai propri fini le terminologie e le ideologie.

Se da un lato, passando all’Italia, ha forse ragione Crisafulli a indicare come troppo intellettualistici alcuni elementi lessicali (per esempio “ipocinetico”), dall’altro è un dato di fatto che espressioni politicamente corrette nel campo delle professioni sono diventati componenti del linguaggio anche quotidiano, si pensi a operatore ecologico o colf.

L’eufemismo, specie per quanto riguarda malattie o disposizioni fisiche, ha una durata limitata nel tempo e viene prima o poi soppiantato da espressioni nuove. Disabile è già un sostantivo che sta cadendo in disuso, nonostante sia stato creato abbastanza di recente per sostituire termini prima percepiti come offensivi.

In effetti il dilemma, come lo imposta l’autore di questo volume, è se “a) bisogna modificare le abitudini linguistiche per modificare la realtà (nominalismo); b) è sulla realtà che bisogna agire, non sul linguaggio” (p. 96).

Importante, indubbiamente, è che siano i corrispettivi nella realtà dei termini utilizzati a rivendicare il lessico più appropriato; e al contempo che si diffonda una mentalità di rispetto concreto per le persone e le comunità cui gli eufemismi del politicamente corretto si riferiscono.


[Roberto Bertoni]