Prefazione di S.
Di Michele, Firenze, Vallecchi, 2004
Crisafulli mette
in rilievo gli aspetti contraddittori del dibattito statunitense sul
politicamente corretto, che contrappone, paradossalmente, due opposti
schieramenti:
“I conservatori
di stampo liberista non hanno dubbi: il politically
correct con la sua filosofia, il multiculturalismo, è la quinta colonna del
terzomondismo in Occidente, e persegue un lucido disegno sovversivo:
nientedimeno che la distruzione della civiltà occidentale. Gli intellettuali
della sinistra radicale, invece, stanno dall’altra parte della barricata: il
politicamente corretto, secondo loro, non è altro che un epifenomeno di una
battaglia ideologica più vasta in difesa della diversità culturale minacciata
dalla globalizzazione e dal Pensiero unico occidentale” (p. 22).
Le posizioni sono
in realtà più variegate, come l’autore stesso spiega, e comprendono motivazioni
dell’uso di termini politicamente corretti che oscillano tra la simpatia e
l’adesione umana alla disabilità e alle marginalità, e l’uso ipocrita e
puramente di facciata.
Nei differenti
casi, si tratta di una disputa non solo linguistica, ma anche e soprattutto ideologica,
che coinvolge gli atteggiamenti dei partecipanti rispetto all’identità etnica
come pure nei confronti della diversità da norme che del resto non appaiono più
assolute come potevano invece sembrare anche solo qualche decennio fa.
Negli Stati Uniti,
la sinistra, così come espone Crisafulli, pare essersi appropriata di una
“identity politics” che “rinnega la solidarietà universalistica della
tradizione liberale dell’illuminismo e del marxismo classico” (p. 32) per
insistere invece sulle differenze razziali, nazionali, sessuali, ecc., che
costituiscono aggregati di solidarietà, sostituendo la coscienza di classe. Da
parte sua la destra non solo respinge in certi casi quelli che paiono eccessi
di utilizzo del politically correct,
ma talora utilizza ai propri fini le terminologie e le ideologie.
Se da un lato,
passando all’Italia, ha forse ragione Crisafulli a indicare come troppo
intellettualistici alcuni elementi lessicali (per esempio “ipocinetico”), dall’altro
è un dato di fatto che espressioni politicamente corrette nel campo delle
professioni sono diventati componenti del linguaggio anche quotidiano, si pensi
a operatore ecologico o colf.
L’eufemismo,
specie per quanto riguarda malattie o disposizioni fisiche, ha una durata
limitata nel tempo e viene prima o poi soppiantato da espressioni nuove. Disabile è già un sostantivo che sta
cadendo in disuso, nonostante sia stato creato abbastanza di recente per
sostituire termini prima percepiti come offensivi.
In effetti il
dilemma, come lo imposta l’autore di questo volume, è se “a) bisogna modificare
le abitudini linguistiche per modificare la realtà (nominalismo); b) è sulla
realtà che bisogna agire, non sul linguaggio” (p. 96).
Importante,
indubbiamente, è che siano i corrispettivi nella realtà dei termini utilizzati
a rivendicare il lessico più appropriato; e al contempo che si diffonda una
mentalità di rispetto concreto per le persone e le comunità cui gli eufemismi
del politicamente corretto si riferiscono.
[Roberto Bertoni]