[Passeggio serale a Osaka, 2012 (Foto Rb)]
Parigi, Albin Michel, 1999
Si tratta di una storia autobiografica, che narra l’esperienza lavorativa,
svolta nel 1990, presso una grande ditta giapponese dalla quale l’autrice era
stata assunta in qualità di interprete in virtù del bilinguismo
francese-nipponico (è nata in Giappone da padre diplomatico e ha vissuto una
parte dell’infanzia nella regione del Kansai).
Nella narrazione, in prima persona, i rapporti con la direzione e i
colleghi si rivelano problematici per differenze culturali pronunciate, scarto
tra i codici di comportamento della protagonista e degli altri impiegati,
nonché una disposizione gerarchica dei ruoli che impone un’ardua sottomissione
ai superiori. Costretta a mansioni sempre più modeste e a subire ordini che le risultano
irrazionali e ingiusti, riesce nondimeno, per orgoglio, a completare l’anno di
contratto, licenziandosi infine prima di essere cacciata.
Il tono è ironico nella rappresentazione dell’io, sarcastico nella
raffigurazione dei manager, polemico
nella presentazione della vita femminile, disperato al fondo non solo per la
difficoltà psicologica, ma per la delusione personale, lei che voleva essere
giapponese recuperando quell’aspetto dell’identità originaria, mentre invece è
costretta a ricredersi e a modificarsi ricostruendosi in altre direzioni. In
un’intervista del 1999 Nothomb dichiarava che il rapporto della protagonista
col personaggio di Mori, nelle sue ambiguità e contraddizioni di “fascino e
incomprensione”, allegorizza la relazione della scrittrice col Giappone [2]. Se
fino a quel punto, sul piano dell’identità, Nothomb si era sentita giapponese,
l’esperienza lavorativa la distacca da questa ipotesi e sollecita diverse
modalità d’integrazione del Giappone espresse in varie interviste; nasce
inoltre a questo stadio il passaggio alla scrittura come professione; nonché
altri aspetti autobiografici, di diversa impostazione rispetto a quelli del
campo lavorativo, rifluiranno nel romanzo NI D’EVE NI D’ADAM [3], in cui si
staglia la storia d’amore tra la protagonista, ancora una volta autobiografica,
e il giapponese Rinri.
STUPEUR ET TREMBLEMENTS non è, stando a Hiroko Strulovici, un racconto
definibile propriamente come umoristico, perché gli avvenimenti narrati sono effettivamente
accaduti e i luoghi corrispondono a quelli reali: “Il decrit l’expérience
réelle de l’auteur qui est terriblement choquante et cruèlle. La trame est
constituée d’evénéments, de personnages et de lieux réels”, anche se “Nothomb
s’amuse à etablir des contrastes entre ce monde réel et ses idèes libres, uniques
et souvent étonnantes” [4].
Tra i vari elementi indicati da Strulovici nella disamina del Giappone in
STUPEUR ET TREMBLEMENTS, e in contrasto con la mentalità occidentale, ci sono
l’impotenza della parola a risolvere i conflitti con l’idea che una discussione
franca possa aggravarli anziché chiarirli; la supremazia dell’impresa
sull’individualità e la forza del potere; la rassegnazione vissuta come sentimento
positivo.
Contraddittorio, spiega infine Strulovici, è il sentimento giapponese verso
l’Occidente: al contempo di rispetto per alcuni aspetti e di diffidenza per
altri aspetti: anch’esso ben presente nel romanzo della scrittrice belga.
Nonostante il contenuto polemico, Nothomb assorbe però elementi stilistici
e filosofici di origine nipponica (quali il senso del vuoto mutuato dal
Buddhsmo Zen, la precarietà dei momenti felici, il rapporto con la morte).
Vincitore del premio Grand Prix du Roman de L’Académie Française nel 2003, ne
è stato tratto un film, diretto da Alain Corneau, di cui Nothomb dà una
valutazione positiva, dichiarando che la pellicola va al di là della fedeltà al
testo scritto, è anzi “magique” e “somiglia ancor più a ciò che ho vissuto del
mio racconto stesso” [1].
NOTE
[1] Dialogues avec Amélie Nothomb (Conversazione svoltasi presso la Libreria “Dialogues”, a Brest, il 26-11-2009).
[2] Cit. in
H. Strulovici, AMÉLIE NOTHOMB ET LE JAPON, Master’s Thesis, San Jose State
University, 2006, p. 12.
[3] Parigi, Albin Michel, 2007.
[4] H. Strulovici, cit., p. 69.
[Roberto Bertoni]