Cina 2012. Con
Christian Bale, Cao Kefan, Shigeo
Kobayashi, Ni Ni, Tong Dawei, Zhang Xinyi, Atsuro Watabe
Forse siamo di gusti
semplici? Come questo film possa avere riscosso poco successo negli USA non è
facile capirlo [1]. La recitazione è veramente impeccabile, non solo da parte
degli interpreti principali, Bale e Ni Ni, ma di una schiera di attrici capaci,
tra cui alcune giovanissime. La fotografia è impeccabile: sottolinea la
desolazione che circonda le atrocità del massacro di Nanjing (Nanchino)
da parte dei giapponesi nella guerra di occupazione contro la Cina nel 1937; e
riesce a cogliere momenti di pausa e di allentamento della tensione anche
quando è costretta a confinarsi negli interni. L’organizzazione del discorso
narrativo è teatrale: e questo è uno dei tratti propri di Zhang Yimou, che rendono la struttura raffinata e
scorrevole.
Il problema, forse, per un pubblico occidentale, è il melodramma? In
effetti l’assunto etico è allegorico ed esemplare. Basato sul romanzo di Geling
Yan [2], l’intreccio è quello di una chiesa in cui, in mezzo al massacro, si
rifugiano un gruppo di collegiali che
frequentano la scuola in inglese della parrocchia e un gruppo di cortigiane. Un
addetto statunitense delle pompe funebri va a seppellire il prete americano
deceduto e si trova coinvolto nelle azioni di guerra, passandosi per sacerdote
al fine di difendere le ragazzine. Quest’uomo, che pareva inizialmente privo di
ideali, trova invece nel corso della vicenda la forza interiore e il coraggio
di opporsi all’ingiustizia, oltre a un sentimento d’amore per una delle
rifugiate adulte. Saranno le prostitute, reiette dalla società, a immolarsi per
salvare le scolare e assicurare, almeno a loro, un futuro. Il che suscita
emozioni di partecipazione e commozione. I sentimenti forti vengono non di rado
ricercati dal cinema asiatico, ma non si tratta spesso di vuota retorica; e qui
in aggiunta abbiamo un'evoluzione verso il bene in una situazione di difficoltà
estrema in cui, invece di disumanizzarsi, gli inermi si raccolgono gli uni
presso gli altri, modificandosi in meglio e acquisendo forza morale nell'agire
congiuntamente: da cui il coinvolgimento psicologico dello spettatore.
C’è inoltre uno spiccato interesse per la
comunicazione interculturale, come se Oriente e Occidente, che sembravano così
lontani nelle prime scene, trovassero una possibilità reale di
comunicazione attraverso codici che vanno oltre le superfici del
comportamento e della consuetudine quotidiana per raggiungere le
motivazioni profonde che accomunano gli esseri umani in quanto tali prima delle
appartenenze identitarie d'altro tipo.
Indubbiamente è anche un film ideologico, in
quanto rappresenta l’occupazione giapponese di Nanjing come un’azione di
crudeltà efferata, di barbarie, di violenza. Perché, fu forse qualcosa di diverso?
Come morirono le centinaia di migliaia di vittime civili, 200.000 secondo alcune fonti
e 300.000 secondo altre? Le torture, le sevizie, il saccheggio. Le donne violentate, tra 20.000 e 80.000 a seconda delle varie fonti. Sarebbe difficile, anche se si insistesse sul fatto
che il film sostenga le tesi nazionaliste cinesi, ignorare le atrocità della
storia reale [3], perciò la pellicola si rivolge alla memoria collettiva: e anche a
questo livello non stupisce, semmai, che abbia riscosso consensi notevoli da parte del
pubblico cinese.
Si è detto infine che si tratta di un film
commerciale, ma anche su tale piano, francamente, non sappiamo cosa
obiettare con precisione, piuttosto ci interessa che un film con propositi umani e
di denuncia, diretto da un regista d’eccezione, passi anche sul circuito non d’essai.
NOTE
[1] Cfr., tra gli
altri, l’articolo di Alex von
Tunzelmann, The
Flowers of War fails to bloom for Chinese film industry, “The Guardian”, 2-8-2012.
[2] Nella traduzione italiana di L. Sacchini, I tredici fiori della guerra, Milano, Rizzoli, 2012.
[3] Cfr. tra gli altri l'articolo di F. Amendola.
[3] Cfr. tra gli altri l'articolo di F. Amendola.
[Roberto Bertoni]