29/08/12

Vito Santoro, CALVINO E IL CINEMA


Macerata, Quodlibet, 2012


Lo studio di Vito Santoro prende in esame un aspetto della produzione calviniana poco noto e finora non molto studiato, quello del rapporto tra Calvino e il cinema.

È vero che, come scrive Santoro, lo scrittore sanremese è stato uno dei letterati che ha meno contribuito dal punto di vista creativo al cinema italiano (almeno dal punto di vista quantitativo), ma i rapporti fra Calvino e la settima arte sono meno casuali ed episodici di quanto non possa apparire a prima vista. L’autore sanremese è stato infatti un appassionato spettatore e un critico attento, e le sue opere hanno rappresentato una fonte di ispirazione per vari registi e sceneggiatori.

Il primo capitolo del libro di Santoro tratta di Calvino come spettatore cinematografico, prendendo spunto dalle considerazioni autobiografiche contenute nel testo L’AVVENTURA DI UNO SPETTATORE. Lo studioso ripercorre la formazione cinematografica di Calvino, sottolineando la sua passione giovanile per il cinema americano degli anni Trenta, forse non troppo sorprendente in un autore che riconosce tra i suoi modelli letterari scrittori di libri d’avventura come Stevenson e Conrad.

Santoro traccia anche un interessante parallelo tra questo entusiasmo per le pellicole hollywoodiane “di genere” e l’idea della letteratura come processo combinatorio, che ha caratterizzato buona parte della produzione calviniana.

Calvino, secondo Santoro, considerava il cinema “espressione poetica piuttosto che comunicazione” (p. 21), un’“arte della visione” che poco aveva in comune con l’arte della parola per eccellenza, ovvero la letteratura. Da questa concezione del cinema come espressione artistica principalmente visiva deriva lo scarso amore che lo scrittore sanremese sempre manifestò per il doppiaggio e per l’uso della parola nel cinema.

Il capitolo si conclude con un’analisi dell’ultimo libro calviniano, PALOMAR, che secondo Santoro contiene alcuni racconti che “possono essere considerati un vero e proprio studio sullo statuto della soggettività cinematografica” (p. 24).

Nel secondo capitolo, Santoro prende in esame gli articoli che Calvino scrisse sul cinema nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta, prima su “L’Unità” e poi su “Cinema Nuovo”, mettendo in evidenza come in quel periodo Calvino avesse maturato un distacco evidente dal cinema americano, con le eccezioni di maestri come Orson Welles, Frank Capra e Charlie Chaplin. Quest’ultimo in particolare, secondo Calvino, ebbe il merito di trasformare il cinema “da fenomeno da baraccone in una delle più grandi arti moderne”  (p. 29).

In quegli anni Calvino si occupò anche di cinema giapponese e sovietico, ma i suoi interventi più interessanti sono quelli dedicati al cinema italiano.

Lo scrittore sanremese dimostrò sempre un vivo apprezzamento per Antonioni, regista che fin dai suoi esordi “si è presentato come un amaro cronista della generazione borghese del dopoguerra” (p. 40). Negli scritti calviniani sul cinema si trovano parole di apprezzamento per LE AMICHE (tratto dal romanzo di Pavese TRA DONNE SOLE), L’AVVENTURA e L’ECLISSE, le cui sequenze finali, a detta di Calvino, mostrano “un cinema dell’occhio puro che è proprio il contrario del romanzo del puro regard” (p. 50).

Tuttavia egli non è affatto un critico indulgente, come dimostra il giudizio negativo su ROCCO E I SUOI FRATELLI di Luchino Visconti e su un cinema che mostra un chiaro legame con il realismo letterario e le grandi architetture narrative del romanzo ottocentesco. Calvino espresse forti perplessità anche su LA DOLCE VITA e, in generale, su tutto il cinema di Fellini, viziato da quello che lo scrittore definì anti-intellettualismo programmatico e, scrive Santoro, da “una certa ideologicità di stampo cattolico” (p. 50). Ma l’autore verso cui Calvino espresse la sua critica più aspra è Pasolini, il cui VANGELO SECONDO MATTEO egli definì senza mezzi termini “una cosa priva di qualsiasi significato e dilettantesca” (55).

Il terzo e ultimo capitolo del libro prende in esame quello che Santoro chiama il passaggio “dalla pagina allo schermo”, cioè le trasposizioni su pellicola dell’opera calviniana. Non molti, a dire il vero, sono i film realizzati a partire dagli scritti di Calvino; inoltre, i registi che hanno lavorato sui testi calviniani hanno mostrato di privilegiare nettamente i racconti rispetto ai romanzi.

Il caso forse più noto di trasposizione è quello di RENZO E LUCIANA, il primo episodio del film BOCCACCIO 70, che è tratto dal racconto L’AVVENTURA DI DUE SPOSI. In realtà, come sottolinea Santoro, il soggetto inviato da Calvino a Suso Cecchi d’Amico venne del tutto stravolto, prima da Giovanni Arpino (a cui era stato affidato il treatment definitivo) e poi dal regista Mario Monicelli, che attraverso i nomi dei protagonisti volle chiaramente istituire un parallelo tra la vicenda narrata e I PROMESSI SPOSI.

Santoro ricorda anche L’AVVENTURA DI UN SOLDATO, un mediometraggio diretto e interpretato da Nino Manfredi tratto dall’omonimo racconto calviniano. La pellicola, caratterizzata da un efficace uso del montaggio e dalla riduzione dei dialoghi allo stretto necessario (non più di una dozzina di battute), fu fortemente apprezzata da Calvino il quale, come si è detto, privilegiò sempre nel cinema l’aspetto visivo rispetto a quello linguistico.

Un’opera curiosa e poco nota è IL CAVALIERE INESISTENTE, realizzato nel 1969 da Pino Zac con una tecnica mista che faceva uso di attori in carne e ossa, disegni e animazioni in stop motion.

Per quanto riguarda la televisione Santoro ricorda soprattutto MARCOVALDO (uno sceneggiato in sei puntate diretto da Giuseppe Bennati e caratterizzato principalmente dall’interpretazione di Nanny Loy nella parte di Marcovaldo) e due mediometraggi realizzati da Carlo di Carlo per la televisione della Repubblica Federale Tedesca, tratti dai racconti calviniani L’INSEGUIMENTO e L’AVVENTURA DI UN LETTORE. L’AVVENTURA DI UN FOTOGRAFO, che è quasi un saggio in forma narrativa sulla fotografia, fu invece portata sullo schermo da Francesco Maselli, che però, scrive Santoro, vi inserì “una curvatura fortemente autobiografica” (p. 103).

In seguito il regista americano Alan Taylor realizzò PALOOKAVILLE (1995), un film che riprende e riattualizza tre racconti tratti da ULTIMO VIENE IL CORVO, con particolare interesse alla struttura narrativa, fatta di simmetrie e di opposizioni come in un gioco combinatorio.

In chiusura, Santoro ricorda infine un documentario di Roberto Giannarelli, L’ISOLA DI CALVINO, andato in onda nel 2006 su Raitre, che analizza la relazione tra i luoghi fantastici descritti nella trilogia I NOSTRI ANTENATI  e quelli in cui lo scrittore trascorse la sua infanzia.  

CALVINO E IL CINEMA è dunque un testo interessante e ben documentato, utile per ricostruire il rapporto con il cinema di un autore che fece sempre dell’occhio il protagonista assoluto della propria opera.


[Daniele Fioretti]