23/08/12

Melania Mazzucco, LIMBO


Torino, Einaudi, 2012

La protagonista, Manuela Paris, maresciallo degli Alpini assegnata a una missione in Afghanistan, dopo sei mesi, nel corso di un’azione, resta ferita, esce dal coma, ma parzialmente disabile, fisicamente per la mancata riattivazione completa della gamba ferita, sebbene riacquisti motorietà zoppicando; psicologicamente si applica per uscire dagli effetti del trauma, riuscendoci lentamente. Insignita di riconoscimenti, ma esonerata dal servizio attivo, cui invece aspirava, le viene assegnata una pensione. Nella convalescenza in famiglia, nel luogo natale, Ladispoli, intreccia una relazione con Mattia, un ex medico oculista costretto alla semiclandestinità perché, avendo assistito a un omicidio mafioso e avendo riconosciuto l’assassino, è sotto protezione da parte della polizia.  Proprio perché i due s’innamorano l’uno dell’altra, per proteggerla Mattia si fa trasferire altrove.

La storia è narrata in parte in prima persona, con spezzoni del diario di Manuela, tenuto inizialmente a fini terapeutici su consiglio dello psichiatra, ma sempre di più rivelatosi esperienza voluta dall’autrice, liberatoria, di scoperta di sé; e con una serie di lettere che Mattia, prima di farsi portare via da Ladispoli, scrive per Emanuela, raccontandole la sua vita e chiedendole (come lei farà) di bruciare le lettere, troppo pericolose per essere conservate. In parte la narrazione è in terza persona, al presente indicativo, con un’angolazione onnisciente, ma con un calo dentro l’ottica e i profili psicologici dei personaggi. 

In questa struttura, complessa ma articolata con chiarezza, dunque fluida, s’intrecciano i nuclei tematici di guerra ed esercito, famiglia, sentimenti amorosi, Italia contemporanea, criminalità organizzata, ruolo femminile.

La guerra è vista con lucidità in quanto tale, smascherando il concetto di missione di pace in Afghanistan, ma anche entrando nella mentalità dei partecipanti, mettendone in rilievo ideali e comportamenti, descrivendo la vita di caserma come le azioni sul campo in modo realistico. Come indica una Nota conclusiva, particolari identificativi di persone e istituzioni sono inventati (compreso il reggimento di Manuela), ma quanto è inerente alla vita militare e alle forze presenti nel paese asiatico è documentato da letture di cui, tra i volumi letti, Mazzucco fornisce una bibliografia scelta (p. 475). L’autrice rileva utilmente di avere perseguito una strategia di verosimiglianza, più che di realismo documentario. Dichiara infatti: “Un romanzo è una costruzione, un’avventura, un’ipotesi. La verisimiglianza m’interessava più della filologia, la possibilità più della cronaca, perciò mi sono presa parecchie libertà” (p. 476).

La decisione di appartenenza della protagonista all’esercito nasce da vari elementi. Deriva da elementi di fabulazione, che sono nati dall’ascolto delle storie di famiglia o da letture e film nell’infanzia e nella prima adolescenza e si sono trasformati in role models: la testimonianza del nonno reduce dalla Libia nella seconda guerra mondiale, Amazzoni dell’America colombiana; i cartoni animati della serie Sailor Moon; la vita di Onorata Rodiani. Si radica negli atteggiamenti dell’adolescenza di una ragazzina caratteriale e capobanda, che convoglia poi le sue trasgressioni verso la disciplina e si arruola diventando un soldato esemplare, priva di vizi e attenta ai valori collettivi. Costituisce una realizzazione personale per Manuela, che vive in modo battagliero, ma al contempo razionale, le difficoltà create dal fatto di essere una donna. 

A questo livello le difficoltà vengono espresse a più riprese nel corso della narrazione. Pregiudizi quali: “allora c’erano poche donne soldato e tutti dicevano che era una cosa innaturale, perché il destino biologico della donna è dare la vita invece che la morte” (p. 14). Le incombenze del comando richiedono più iniziativa personale a una donna che a un uomo: “Non potevo certo chiedere aiuto ai maschi. Ero il loro comandante, mi avrebbero sfottuta per sempre” (p. 51); “il loro rispetto dovevo guadagnarmelo. Se sei una donna, del resto, è sempre così” (p. 54). 

I rapporti interpersonali in caserma sono, con sorpresa di Manuela, in ampia misura determinati dal genere:

“Io ero cresciuta come il maschio di casa di una famiglia di donne, mi consideravo anfibia: stavo bene con le femmine, e spesso diventavo la confidente delle loro pene d’amore, ma stavo bene anche coi maschi. Dividere le persone solo in base al genere mi sembrava un modo decrepito di vedere le cose, una questione anacronistica, superata come le discussioni sul sesso degli angeli. Non avrei mai immaginato di essere rifiutata dai maschi e vista come una rivale dalle femmine”(p. 58).

Quasi fossero un utile ornamento, è assegnato alle donne un ruolo di public relation nell’esercito: “le femmine catalizzano l’attenzione dei mass media, fanno sembrare l’esercito italiano una cosa moderna, e aiutano ad attirare finanziamenti” (p. 61).
Rispetto alla famiglia, un altro aspetto della tematica sociale in generale, ma più specificamente anche e soprattutto femminile del romanzo, si nota intanto come essa sia disfunzionale e cosmopolita. Il padre (deceduto per malattia al momento della narrazione) e la madre di Manuela sono divorziati, lui si è risposato con una donna rumena e c’è un fratellino di otto anni da questo secondo nucleo familiare. La sorella Vanessa ha una figlia, Alessia, da un nordafricano di nome Youssef, che a sua volta a una moglie in Marocco e si divide tra le due donne col loro consenso. Vanessa ha anche altre storie; e la sua intraprendenza nel campo sentimentale viene contrapposta alla maggiore linearità di Manuela, le cui storie importanti sono state due: con un ragazzo con cui, arrivata alla soglia del matrimonio, ha invece deciso di non sposarsi; e con Mattia.

La libertà di scelta delle protagoniste giovani è indiscussa e ben presentata, con tatto, simpatia umana e comprensione delle motivazioni, riflettendo i comportamenti di questa generazione: “è giusto parlare di Manuela Paris perché le ragazze italiane di oggi non sono deficienti senza valori né cervello che pensano solo ai soldi, sono anche ragazze come lei, che hanno dei sogni e degli ideali e soprattutto hanno il coraggio di tentare di realizzarli” (p. 6). 

Anche le tipologie maschili variano: dal soldato innamorato e che tragicamente perderà la vita, lasciando una moglie ventenne ancora incinta; alla fuga del padre di Manuela da una situazione familiare in cui non aveva l’affetto di cui necessitava verso la nuova famiglia; al libertinaggio dichiarato di Mattia, che viene peraltro descritto dalle parole dello stesso protagonista e affidato al giudizio del lettore, non dei personaggi, stabilendo una patina d’imparzialità, in cui tra l’altro va considerato lo spessore umano di quest’uomo che, superficiale come sembrerebbe, percorre invece, dal momento in cui si trova a testimoniare l’omicidio, un itinerario di maturazione nella latitanza forzata e dovuta alla sua responsabilità civile, che gli fa infine perdere coloro a cui teneva, la fidanzata e il figlio, impossibilitati a seguire la vita troppo rischiosa e disumana della protezione costante, del cambiare di continuo città e attività, del terrore della morte soprattutto per il figlioletto che viene in effetti rapito e fortunatamente rilasciato dai mafiosi come deterrente e minaccia per il testimone.

Se dunque abbiamo un romanzo incentrato su un ruolo femminile altamente emancipato (Manuela, non solo donna dell’esercito, ma anche comandante di uomini, e personalità indipendente e autodeterminata), e il ruolo maschile della fatuità infedele è messo in rilievo, non mancano momenti compensatori e obiettivizzanti nel temperamento flirtante di Vanessa e nella complessità di Mattia.

Le classi sociali sono anch’esse piuttosto delineate, soprattutto il ceto popolare della famiglia di Manuela e quello alto borghese di Mattia. L’Italia contemporanea è percorsa dalla speculazione edilizia colla trasformazione di Ladispoli in zona di palazzine, tanto da farne “la città più brutta della costa laziale” (p. 22); dalla criminalità; dall’arrivismo. Nondimeno, le scelte individuali di chi si impegna a vivere con responsabilità e senso di autocostruzione sembrano per lo meno preservare la dignità personale e contribuire a coagulare un minimo di valori collettivi.

Essendo questo anche un romanzo di crescita interiore, la riabilitazione di Manuela non è solo riattivazione sanitaria; ma, forse come allegoria di ciò che conta sul piano sociale oggi, una “terapia di disintossicazione dalle cose superflue. Mese dopo mese, le cose importanti si sono rivelate sempre meno. Alla fine sono rimaste solo la salute, la libertà, la vita” (p. 10).

Tale esito parrebbe portare fuori dal limbo che dà il titolo al romanzo; alla fine, infatti, Manuela riflette: “sono cambiata […], non sono la stessa persona di prima, e non potrò esserlo più. Ma non mi sento menomata. Non ho una gamba di meno, ma una di più. Però non so se potranno capirlo” (p. 463). 

 Esplicitamente addotti da Mazzucco i riferimenti danteschi per il concetto di limbo (p. 446), ma anche a “un videogame in cui c’è un bambino in una foresta che cerca la sorellina, che è sparita, si è persa, non si sa”. In questo gioco “non si muore una volta sola, si muore spesso. Vai nel Limbo e poi risorgi. Allora ti rialzi e ricominci dal punto in cui sei caduto” (p. 337). Allegoria, in breve, non solo del periodo di convalescenza della protagonista, ma dell’esistenza umana e delle sue ciclicità, oltre che della ricostruzione moderna dell’identità in relazione alle esperienze svolte: allusivo in tal senso il nome di Mattia, scaturito, per esplicita dichiarazione dell’autrice, dal Mattia Pascal di Pirandello (p. 442).


[Roberto Bertoni]