[Osaka from the top of the castle. Foto Rb]
Antonietta Pastore, LEGGERO
IL PASSO SUI TATAMI. Torino, Einaudi, 2010
Docente presso l’università
di Osaka e traduttrice di importanti autori nipponici, Antonietta Pastore
racconta in questo volume le esperienze di sedici anni vissuti in Giappone a partire dal 1977.
Spiccano le diversità
culturali, dagli scarti del galateo occidentale rispetto a quello orientale,
alla diversa gestione dell’esplicitazione delle emozioni (molto più introversa
la società giapponese).
Emerge, allo stesso modo,
un universale umano, da quando l’autrice narra di essersi resa conto della
passionalità del popolo tra il quale viveva, mascherata da un’educazione alla
reticenza, che nel lungo periodo, si direbbe, risulta invece apprezzabile:
“La sicurezza di essere
accolta con un sorriso in qualunque negozio o ufficio mi rechi - insieme all’efficienza,
al senso di responsabilità e all’onestà della gente - è uno dei fattori che mi
rendono gradevole la vita in Giappone. Se continuo a sopportare con irritazione
la bruttezza di certe costruzioni, la leziosità di molti ornamenti o la
presenza ossessiva degli altoparlanti, mi consola constatare che la maggior
parte dei miei amici giapponesi ne sono infastiditi quanto me. Riesco a
percepire dietro comportamenti in apparenza distaccati il calore degli affetti,
e so che è sbagliato dedurre dall’atteggiamento che una coppia assume in
pubblico la qualità del legame che l’unisce. Ho imparato a non dare eccessiva
importanza alla formalità che un tempo mi esasperava, e quando certi stranieri
mi dicono che la gentilezza dei giapponesi è solo di facciata, rispondo che
preferisco una cortesia superficiale a una genuina villania” (p. 119).
Si tratta, dunque, di una
narrazione che non nasconde l’alterità, ma mette in rilievo anche l’integrazione.
Pastore parla anche di un matrimonio italo-giapponese e di una storia
sentimentale anch’essa tale e successiva al divorzio.
Gli episodi sono disposti in
ordine cronologico, sì da delinearsi come sequenza di un diario, sebbene per scene
emblematiche, spaziate di anni l’una rispetto all’altra e scelte con cautela
per l’apporto di conoscenza alla società descritta e fortunatamente non per
protagonismo narcistico, dimensione quest’ultima che, in contrasto con tanto
individualismo esasperato degli ultimi decenni, con sollievo si riscontra assente da questo libro, il che va segnalato come un pregio. L’io naturalmente
esiste come deve essere, ma si investe di uno sguardo che osserva, di una
sensibilità che scopre e di emozioni dichiarate con riservatezza.
Il tono leggero e ironico,
che a volte ricorda il Palomar di
Calvino, e la cura dei particolari rilevanti, oltre che la scelta del presente
come tempo narrativo rendono piacevole questa lettura istruttiva.
[Roberto Bertoni]