01/08/12

Antonietta Pastore, LEGGERO IL PASSO SUI TATAMI



    [Osaka from the top of the castle. Foto Rb]


Antonietta Pastore, LEGGERO IL PASSO SUI TATAMI. Torino, Einaudi, 2010


Docente presso l’università di Osaka e traduttrice di importanti autori nipponici, Antonietta Pastore racconta in questo volume le esperienze di sedici anni vissuti  in Giappone a partire dal 1977.

Spiccano le diversità culturali, dagli scarti del galateo occidentale rispetto a quello orientale, alla diversa gestione dell’esplicitazione delle emozioni (molto più introversa la società giapponese).

Emerge, allo stesso modo, un universale umano, da quando l’autrice narra di essersi resa conto della passionalità del popolo tra il quale viveva, mascherata da un’educazione alla reticenza, che nel lungo periodo, si direbbe, risulta invece apprezzabile:

“La sicurezza di essere accolta con un sorriso in qualunque negozio o ufficio mi rechi - insieme all’efficienza, al senso di responsabilità e all’onestà della gente - è uno dei fattori che mi rendono gradevole la vita in Giappone. Se continuo a sopportare con irritazione la bruttezza di certe costruzioni, la leziosità di molti ornamenti o la presenza ossessiva degli altoparlanti, mi consola constatare che la maggior parte dei miei amici giapponesi ne sono infastiditi quanto me. Riesco a percepire dietro comportamenti in apparenza distaccati il calore degli affetti, e so che è sbagliato dedurre dall’atteggiamento che una coppia assume in pubblico la qualità del legame che l’unisce. Ho imparato a non dare eccessiva importanza alla formalità che un tempo mi esasperava, e quando certi stranieri mi dicono che la gentilezza dei giapponesi è solo di facciata, rispondo che preferisco una cortesia superficiale a una genuina villania” (p. 119).

Si tratta, dunque, di una narrazione che non nasconde l’alterità, ma mette in rilievo anche l’integrazione. Pastore parla anche di un matrimonio italo-giapponese e di una storia sentimentale anch’essa tale e successiva al divorzio.

Gli episodi sono disposti in ordine cronologico, sì da delinearsi come sequenza di un diario, sebbene per scene emblematiche, spaziate di anni l’una rispetto all’altra e scelte con cautela per l’apporto di conoscenza alla società descritta e fortunatamente non per protagonismo narcistico, dimensione quest’ultima che, in contrasto con tanto individualismo esasperato degli ultimi decenni, con sollievo si riscontra assente da questo libro, il che va segnalato come un pregio. L’io naturalmente esiste come deve essere, ma si investe di uno sguardo che osserva, di una sensibilità che scopre e di emozioni dichiarate con riservatezza.

Il tono leggero e ironico, che a volte ricorda il Palomar di Calvino, e la cura dei particolari rilevanti, oltre che la scelta del presente come tempo narrativo rendono piacevole questa lettura istruttiva.

[Roberto Bertoni]