21/05/12

Shin Kyung-Sook, PRENDITI CURA DI LEI


[Seoul station, 2012. Foto Rb]


Titolo originale: 엄마를 부탁해 (Ommarul putakhae). Traduzione di V. Mingiardi. Vicenza, Neri Pozza, 2011

Con PRENDITI CURA DI LEI, Shin Kyung-Sook, nata nel Jolla (Corea del Sud) nel 1963, ha vinto il premio letterario Man Asian ed è assurta al livello di autore di best seller di fama internazionale.

Se immaginiamo che le ragioni del successo risiedano nella qualità emotiva che caratterizza il volume e nella crisi di valori tra mondo tradizionale e tarda modernità in cui si instaura una parte della sua ideologia, in verità questo romanzo ha ben poco di commerciale nella struttura e nel sostrato riflessivo che lo caratterizza.

L’assunto narrativo essenziale è l’archetipo del quest, che qui si concretizza nella sparizione di un’anziana alla stazione di Seoul in quanto non fa a tempo a prendere il treno della metropolitana su cui sale il marito appena sono arrivati dalla provincia in visita alla capitale per trascorrere qualche tempo coi figli. Quando il marito torna dalla prima stazione successiva alla stazione di partenza, So-nyo è scomparsa. Si inizia una ricerca da parte dei parenti, che si risolve dopo tempo in un nulla di fatto. La narrazione rivela alla fine che So-nyo è deceduta dopo aver vagato per la città in luoghi del passato che ricordava in funzione della memoria selettiva nonostante una malattia senile d’oblio che le aveva impedito di prendere gli accorgimenti comuni di uno smarrimento (telefonare a qualcuno, informare le autorità e così via).

La storia si costruisce procedendo diacronicamente mentre la voce è affidata in parte a vari personaggi che raccontano in seconda persona (col “tu” narrativo) e in parte si svolge in terza persona, con l’ultimo capitolo riferito dallo spirito vagante della protagonista dopo la morte.

Se la traduzione è fedele al testo coreano originale, la lingua utilizzata è quotidiana e chiara, nondimeno la struttura è complicata e raffinata, non solo per via delle voci multiple di cui sopra, ma anche per il vagare del ricordo, in ogni sezione del libro, tra presente e passato. La cronologia avanza allo stesso tempo in cui la memoria fluttua, costringendo a ricordare, secondo le testimonianze dei vari personaggi, momenti diversi da angolazioni diverse, cosicché all’andamento diacronico si accompagna una struttura a mosaico.

Da un lato, emergono i sentimenti; e questo forse è quanto più cattura la parte emotiva del lettore. Dall’altro lato, si ricompone poco per volta nel progredire della lettura l’immagine di un mondo arcaico, nondimeno non da troppo scomparso, precedente al miracolo economico coreano e alla più recente rifondazione della democrazia politica: un universo rurale, una famiglia tradizionale e con conflitti tra moglie e marito, nuora e suocera, protagonista e cognata che non potevano rivelarsi apertamente e andavano ricomposti con l’accettazione; in contrasto con la vita dei figli oggi, che dalla classe sociale di partenza sono ascesi alla classe medio-alta: uno dei fratelli nell’amministrazione statale, una delle sorelle scrittrice nota (e una breve zona del racconto si svolge a Roma, in un àmbito che si sforza volutamente di sottrarsi ai cliché turistici).

[Roberto Bertoni]