09/12/11

Andrew Niccol, IN TIME

USA, 2011. Con Matt Bomer, Johnny Galecki, Vincent Kartheiser, Cillian Murphy, Alex Pettyfer, Amanda Seyfried, Justin Timberlake, Olivia Wilde

In un futuro di ghetti contrapposti a quartieri privilegiati e altolocati, separati da vari settori con livelli di vita differenziati, Will Salas, appartenente ai ceti meno abbienti, dotato di soli 25 anni di vita come gli altri sottoproletari di questa società in cui il tempo di vita costituisce la risorsa economica fondamentale e opera come valore di scambio e moneta, riceve in regalo da un suicida delle classi alte un secolo di vita. Si trasferisce nei quartieri benestanti, ma la polizia, ritenendolo un omicida, lo insegue. Rapita la figlia di un miliardario appartenente alla casta di coloro che, possedendo risorse elevate, hanno potuto comprare tempo di vita potenzialmente illimitato, dopo una serie di inseguimenti e avventure, riesce a smantellare il sistema iniquo e a mettere in atto una rivoluzione del tempo che ridistribuirà in modo più giusto il benessere materiale, ergo, in questo caso in cui crónos coincide con la valuta, anche esistenziale.

Di Niccol ci avevano già persuaso positivamente GATTACA (1996) e SIMONE (2002). Ci è piaciuto anche questo IN TIME; e discordiamo dalle critiche piuttosto tiepide che l'hanno accolto all'uscita nelle sale.

Se di allegoria forse facile si tratta, come osserva per esempio la recensione del "Guardian" [1], è vero però che ribadisce l'andamento distopico cui rimanda il termine reale, l'aspetto cioè orientato verso la contemporaneità di ineguaglianze globalizzate in cui viviamo, insomma la componente presente, che come sempre nella fantascienza impegnata è l'obiettivo del discorso critico insito nell'immaginario spostato nel futuro.

L'idea del tempo in quanto valuta sembra una metafora classica del capitalismo, rappresentata tramite una mutazione cibernetica del corpo umano, per cui il cronometro a ritroso, indicante quanto resta prima del decesso, è leggibile sull'avambraccio; e si trasforma in metastasi per l'angoscia e l'insicurezza da baumaniana società liquida che tale meccanismo biomeccanico provoca tra i diseredati, condannati a mancare non solo di un corso di esistenza adeguato a realizzare qualcosa di profondamente sentito, ma anche all'indigenza e a una quotidianità grama.

La parte spettacolare, chiamiamola così, ci ha interessato perché ha un suo realismo non esagerato da effetti speciali troppo pronunciati, controcorrente dunque rispetto a quelli oggi così comuni e ripetitivi nel cinema fantastico.

Gli scenari sono ben scelti e fotografati con un'estetica dello spazio dilatato in luoghi di Los Angeles, dove è stata girata la pellicola: sia il ghetto ambientato in periferie industriali allucinate; come pure i quartieri alti, i palazzi sontuosi ma razionalisticamente architettati e le quadrature ampie e asettiche della buona società esclusiva ed escludente.


NOTE

[1] Recensione di Henry Barnes, 4-11-2011

[Roberto Bertoni]