27/08/11

LA SERIE COREANA


[The child (Seoul 2011). Foto di Marzia Poerio]


Vorremmo spezzare una lancia a favore della serie coreana, o fiction per dirla all’italiana con un termine inglese fuori posto, o drama per utilizzare l’espressione inglese impiegata dai siti internet orientali di sceneggiati, che si avvicina forse di più a uno dei modelli, quello teatrale, l’altro è logicamente il cinema.

Prima di proseguire, comunque, certo, le cautele. In generale le serie sono ripetitive; fanno parte di un panorama di riferimento che si rivolge al pubblico di massa; confermano non troppo di rado i valori dominanti; i personaggi sono abbastanza spesso ricettacoli per la performance di attori e attrici di successo; non sono scarsi i momenti lacrimevoli. Tutto vero.

Detto questo, a parte indicare che ci sono delle eccezioni agli schemi sopra delineati, è però proprio dall’interno di questi congegni, oltre che per altre ragioni artistiche e sociali, che gli sceneggiati coreani colpiscono lo spettatore, o almeno noi in qualità di spettatori, piuttosto positivamente.

Riprendiamo il discorso del secondo capoverso. Le serie sono ripetitive, ma si fondano su archetipi del narrare che aggiornano alla modernità storie senza tempo. Primeggiano i casi patetici (portatori di pathos) dell’orfano abbandonato dalla madre o da entrambi i genitori, che deve conseguentemente trovare il proprio luogo nella vita a contatto con gli altri; l’archetipo della Cenerentola che si innamora del ricco signore, con varianti disparate; l’avidità del potere economico e politico che sfrutta i diseredati; l’autenticità dei sentimenti e dei valori; la ricerca di onestà.

Attorno a questi spunti vengono costruite storie grandiose per la qualità emotiva che intendono ispirare, di solito in sedici, venti o cinquanta puntate. In TWINKLE TWINKLE, lei è figlia di ricchi, l’altra è figlia di poveri, ma sono state scambiate all’ospedale alla nascita: cosa potrà accadere se, in età giovane ma già adulta, la misera prenderà il posto dell’abbiente, frattanto il fidanzato di una è ambito anche dall’altra e ha una madre usuraia che egli stesso contribuisce a mandare in prigione per redimerla. In IRELAND, lei è una coreana abbandonata dalla madre originaria e adottata in Irlanda, che torna a Seùl ventenne e si innamora proprio di suo fratello tra gli undici milioni di abitanti della capitale della Corea del Sud, senza sapere che si tratta del parente, eppure trascinata da un destino infausto inarrestabile. In THE SNOW QUEEN, lui è disederedato e pugile, lei figlia di genitori potenti; dopo un’iniziale avversione si innamorano, anche qui trasportati dal destino che non consente abbandoni e rinsavimenti, fino al decesso di lei per malattia. In SCENT OF SUMMER, lei ha subito un’operazione chirurgica che le ha sostituito il cuore con quello di un’altra e per una stranezza che viene spiegata un po’ come destino, un po’ come mistero della scienza, il cuore nuovo la porta irresistibilmente verso l’ex fidanzato della donatrice. E così di seguito.

Se gli spunti narrativi sono caratterizzati da questi elementi semifiabeschi e da esagerazioni situazionali, nondimeno la quotidianità dei personaggi (interpretati di solito da attrici e attori notevoli per la bravura) viene eseguita in chiave mimetica in ambienti comuni e riconoscibili: spesso nella città di Seùl verificabile dall'osserazione e dall'esperienza concreta, con riprese in quartieri, luoghi, abitudini, dettagli, rituali che vanno dall’alimentazione, ai matrimoni, al traffico massiccio, ai maggiori e minuti dettagli della vita.

Il riso e il pianto che vivono sulla scena e si trasferiscono a chi osserva non scaturiscono necessariamente (sebbene ciò avvenga in diverse di queste fiction) da motivi futili o da vuotezza. Al contrario, in quelle citate sopra c’è contestazione da parte dei personaggi nei confronti dei valori restrittivi; ci sono svolte significative dei percorsi esistenziali e identitari personali e collettivi; giudizi sociali e politici.

La narrazione è per lo più stringente e articolata, tanto nella vicenda principale che in quelle secondarie, in modo da trattenere l’attenzione, spingendo verso la puntata successiva.

In breve, non sarebbe corretto liquidare semplicemente come commerciale tale produzione vasta. Ci sembra, in sintesi, che tratti distintivi rispetto alle serie occidentali, che pure costituiscono un riferimento per quelle asiatiche e viceversa nel mondo ormai globalizzato, siano la qualità della recitazione; modelli di comportamento che prendono a parametro positivo la modestia e l'altruismo anziché l'individualismo autoriferito, per lo meno nelle opere rivolte a un pubblico dai trentenni a età superiori; il richiamo letterario che frammischia assunti immaginari e realisti; e connotazioni anche ironiche entro coordinate melodrammatiche.

[Renato Persòli]