11/03/10

ALTRE DUE PAROLE SU SAVINIO

Si era parlato di LA NOSTRA ANIMA, di Alberto Savinio, dalle pagine di "Carte allineate" il 23-1-2009. Due parole oggi sul mito.

Il riferimento di Savinio all’antichità classica intesa sia come cultura che come letteratura è costante, in parte legato a un elemento di identità (la nascita in Grecia).

Le opere scritte negli anni Dieci e Venti sono di carattere più sperimentale di quelle degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, ma anche nei testi della prima produzione si notano elementi mitici, soprattutto il riferimento al mito dell’ermafrodito, alla Grecia intesa come culla di civiltà e al viaggio d’esilio come quello di Ulisse, motivi che si ripetono anche nella seconda produzione.

La classicità, come pure nelle opere pittoriche del fratello, Giorgio De Chirico, costituisce anzi un aspetto di modernismo. Le geometrie della architettura greca, la razionalità della filosofia classica dell’Ellade, le storie e i miti vengono integrate e rivissute nel progetto del moderno.

Savinio è consapevole del fatto (sottolineato da Eliade in ASPECTS DU MYTHE) [1] che il processo di demitizzazione è antico e inizia già in Grecia. A tale proposito fa riferimento all’ironia e allo scetticismo per il sacro di Luciano di Samosata. Nella prefazione ai DIALOGHI di Luciano, scrive: “Moderno è ogni spirito non misticamente ispirato dai miti come Eschilo o Dante, ma cosciente della propria autonomia mentale, e che liberamente e spassionatamente contempla intorno a sé il mondo divinizzato” [2]. La demitizzazione conseguente alla convinzione che viviamo in un universo posteriore alla fine delle divinità ha anche un riferimento moderno, cioè alla filosofia di Nietszche.

Uno dei miti riusati da Savinio è quello di Amore e Psiche. Nella versione di Apuleio, Psiche sposa Amore, ma il marito le impedisce di guardarlo. Spinta dalle sorelle, che immaginano un Amore orrendo e dunque restio a farsi ammirare, con la luce di una candela Psiche guarda il volto di Amore nel sonno, che in realtà è bellissimo. Una goccia di cera cade sulla guancia del marito che si sveglia e punisce la diffidenza di Psiche esiliandola in una zona inaccessibile. Alla fine, dopo varie traversie, la perdona.

La favola di Amore e Psiche, oltre che nella NOSTRA ANIMA (1944), è utilizzata da Savinio in un testo precedente, ANGELICA O LA NOTTE DI MAGGIO (1927), in congiunzione con il richiamo all’inafferrabilità di Angelica di Ariosto.

In ANGELICA, il mito di Amore e Psiche è uno degli aspetti: Angelica è sposata con il Barone Felix che ha difficoltà ad accostarsi a lei sessualmente forse per suoi problemi o per la frigidezza di Psiche. Come cura si ricorre a un’operazione al cervello su Angelica, in seguito alla quale la ragazza entra in uno stato di sonno, visitata nottetempo da un Angelo che verrà ucciso dal Barone, il quale finirà così in manicomio. Qui l’angelo è Amore e Angelica è Psyche. Forse Angelica rappresenta una difficoltà dell’Anima (questo significa la parola greca psyché) a concordare la razionalità con la passione. Nel testo si leggono alcune dichiarazioni indicative delle intenzioni dell’autore: si parla di “angoscia del sogno, personaggi straniati” [3], riconfermando, se questa è un’affermazione di poetica, la dimensione modernista e sperimentale anche in opere che fanno riferimento alla classicità. Inoltre il significato preciso delle due figure di Angelica e dell’Angelo resta enigmatico, forse per mettere in pratica quanto Savinio, come è proprio dell’avanguardia, considera importante in letteratura in relazione al carattere onirico degli intrecci e alla molteplicità ed enigmaticità dei significati: “la logica è mica fatta di un piano solo” [4]; e “continuavi a restare impassibile davanti al nuovo, all’impensato, all’inaudito” [5].

In ANGELICA compare un altro interesse rilevante per l’interpretazione del mito in generale, ovvero la psicoanalisi. Come osserva Silvia Pegoraro, l’opera di Savinio sembra aderire alla definizione data da Hillman della psiche come “messa in scena di mitemi” se nella sua opera compaiono “figure e personificazioni metamorfiche, concrezioni dell’Es, dell’Io, del Superio” che sono aspetti dell’inconscio collettivo oltre che individuale [6].

Il mito, come anche in altri casi nella modernità, diviene un simbolo o un’allegoria, entrando a far parte dei repertori dell’inconscio e delle immagini dei sogni, che comunicano negli interstizi tra sonno e veglia, tra immaginazione e realtà. Il mito, in queste interpretazioni, come in quella di Savinio, perde il carattere di realtà e sacralità sottolineato da Eliade nel momento in cui era ancora vivo e non demitizzato.

Rileva sempre Pegoraro: “Il bersaglio di Savinio è […] il mito come struttura rispecchiante un ordine chiuso. […] L’opera di Savinio è fittamente popolata di miti, ma il mito è diventato qui emblema di un ordine caoticamente aperto, della perdita del centro, della frammentarietà del mondo com’è avvenuta nell’esperienza della modernità” [7].

Leggerezza, e uso del mito che racchiude la critica del medesimo; il che, a parere dello scrivente, non soffoca con l'eccesso di retorica cui talora, in altri autori, si assiste.


NOTE

[1] Parigi, Gallimard, 1963, pp. 138-39.
[2] Luciano di Samosata, DIALOGHI E SAGGI, Milano, Bompiani, 1944 (1988), p. 7.
ANGELICA O LA NOTTE DI MAGGIO, ed. Milano, Rizzoli, 1986, p. 61.
[3] Ibidem, p. 63.
[4] Ibidem, p. 72.
[5] P. 217 di S. Pegoraro, IL MITO IN SAVINIO TRA PARODIA E ALLEGORIA, in F. Curi, a cura di, STUDI SULLA MODERNITÀ, Bologna, Clueb, 1989, pp. 197-235.
[6] Ibidem, pp. 198-99.
[7] Ibidem, p. 203.


[Roberto Bertoni]