11/02/10

Mircea Eliade, LO YOGA

Sottotitolo: IMMORTALITÀ E LIBERTÀ (1954). Traduzione italiana di Giorgio Pagliaro. Firenze, Sansoni, 1990


Libro denso e ormai classico, derivato in parte dalle esperienze indiane dello stesso Eliade, ha il merito, tra l'altro, di guardare non solo allo yoga di Patanjali e della tradizione indù, bensì anche alle pratiche buddhiste nonché al tantrismo in relazione all'alchimia e inserisce l'argomento generale nell'ambito della filosofia indiana, individuandone le quattro idee centrali nei concetti di karma, maya, nirvana, yoga (p. 19), partendo in ogni caso dal presupposto che se al principio c'è "l'equazione dolore-esistenza", essa non conduce però al pessimismo, bensì al distacco dal mondo per liberarsi della sofferenza (pp. 26-27).

Ben delineati elementi delle UPANISHAD come l'Atman "principio trascendente e autonomo" che pervade la coscienza individuale mentre si espande nell'universo (talora tradoto con il termine e concetto di anima) e la sua coincidenza col Brahman, ovvero il principio divino e cosmico (pp. 30-32).

La liberazione dai tormenti interiori, dalle passioni, dai "tumulti" e dalle negatività che ostacolano la pace interiore, avviene solo dopo averli pienamente sperimentati (p. 51), come già si legge nelle UPANISHAD. Interessante la maniera in cui Eliade traccia un parallelo tra yoga e psicologia. La liberazione consiste nello scardinare e infine abolire i tumulti dentro di sé (p. 52), provocando l'arresto delle latenze psicomentali, come afferma già il secondo sutra di Patanjali, sistematizzatore della filosofia yoga: "Yogah cittavrtti nirodhah", ovvero, con una delle possibili traduzioni, "lo yoga è l'arresto delle oscillazioni della mente". Come spiega Eliade, per lo yoga è "inutile cercare di modificare gli stati di coscienza fino al momento in cui le latenze psicomentali non sono state anch'esse controllate e dominate [...]. Le latenze - come se uno strano impulso le spingesse all'autoestinzione - vogliono uscire in piena luce e divenire, attualizzandosi, stati di coscienza. La resistenza che il subcosciente oppone a ogni atto di rinuncia e di ascesi, ad ogni atto che potrebbe avere per effetto la liberazione del sé, è quasi il segno della paura avvertita dal subcosciente alla sola idea che la massa delle latenze ancora non manifeste possa fallire il suo destino e essere annientata prima di avere avuto il tempo di manifestarsi e di attualizzarsi" (p. 55). Preferendo, si direbbe, lo yoga alla psicanalisi, secono Eliade, "a differenza della psicanalisi, lo yoga ritiene che il subcosciente possa essere dominato dall'ascesi", o meglio "conosciuto, padroneggiato e conquistato" (p. 56). L'inconscio non va negato, ma conquistato: "Bisogna sì risvegliare le forze interiori, ma conservando sempre una perfetta lucidità e il dominio di se stessi" (p. 199).

In un passo, Eliade riferisce il seguente testo buddhista, simile allo yoga: "Allontanando la sete del mondo, egli resta con il cuore libero da desideri e purifica il proprio spirito dalla cupidigia. Allontanando la maliziosa invidia, resta con il cuore libero da inimicizie, benevolo e pieno di compasione per tutti gli esseri, e purifica il suo spirito dalla malevolenza. Allontanando l'ozio ed il torpore, egli resta libero da entrambi; cosciente della luce, lucido e padrone di sé egli purifica il suo spirito dall'ozio del torpore. Allontanando il dubbio, egli resta come chi è giunto al di là della perplessità; non essendo più nell'incertezza su ciò che è buono, egli purifica il suo spirito dal dubbio" (pp. 163-64). Un'ottica di liberazione di non facile pratica, un'ideale utopico.


[Roberto Bertoni]