21/12/08

Cristina Cona, ALLA RICERCA DEL PASSATO PROSSIMO


[Is the past crystal clear? Foto di Marzia Poerio]


In un articolo pubblicato alcuni anni fa sull'"OBSERVER" il critico letterario Terence Kilmartin osservava come sin dalla frase d'apertura ("Longtemps je me suis couché de bonne heure") la RECHERCHE DU TEMPS PERDU presenti al traduttore inglese un problema di difficile soluzione. Come rendere, infatti, quel passato prossimo in una lingua in cui di fatto non esiste un tempo corrispondente? La soluzione adottata dal primo traduttore di Proust, C.K. Scott Moncrieff ("For a long time I used to go to bed early"), pur linguisticamente corretta, non riesce certo a riprodurre in tutte le sue sfumature il rapporto proustiano fra presente e passato, né ad esprimere la musicalità e il potere evocativo di quella prima frase.

I problemi non finiscono certo qui: a complicare il lavoro di traduzione sono soprattutto le frasi lunghissime, il periodare denso e involuto in cui analogie, parentesi, digressioni si susseguono in una spirale di subordinate: una prosa per molti versi "poco francese", che è stata giudicata più vicina a quella dei grandi scrittori russi. Alcuni fra i titoli dei volumi hanno creato altre difficoltà: lo squisito A L'OMBRE DES JEUNES FILLES EN FLEURS, così traboccante di freschezza e di sensualità, è diventato in inglese WITHIN A BUDDING GROVE: meno suggestivo, certo, ma una traduzione letterale era considerata improponibile. Quanto al titolo dell'opera complessiva, Scott Moncrieff aveva optato per REMEMBRANCE OF THINGS PAST, soluzione formalmente elegante (l'espressione è tratta dal sonetto 30 di Shakespeare: "When to the sessions of sweet silent thought/I summon up remembrance of things past..."), ma di fatto gravemente infedele, perché quel "summon up remembrance" indica uno sforzo attivo, esatto opposto del concetto proustiano di "memoria involontaria" che costituisce il cardine e il senso stesso della Recherche.

Lo stesso Proust, del resto, commentò questa scelta esclamando costernato: "Cela détruit le titre" e, secondo il suo biografo George D. Painter, temendo che tutta la traduzione potesse rivelarsi infedele quanto il titolo, avrebbe addirittura pensato di bloccarne la pubblicazione in Gran Bretagna. "La mia opera mi sta molto a cuore", dichiarò al suo editore parigino, Gaston Gallimard, "e non ho nessuna intenzione di farmela rovinare dagli inglesi".

I timori di Proust sarebbero risultati in gran parte infondati: la traduzione di Scott Moncrieff, pur tutt'altro che perfetta, si rivelò più che accettabile e anzi fu molto ammirata nel mondo anglofono; con il passare degli anni, però, le lacune sono apparse sempre più evidenti. A sua parziale discolpa va ricordato che egli aveva lavorato "alla cieca", iniziando a tradurre il primo volume quando non era ancora uscito l'ultimo: l'originale era pertanto rappresentato da un'opera in fieri, soggetta fra l'altro a rimaneggiamenti continui (e non di rado molto sostanziosi) da parte del mai soddisfatto autore, senza contare che, alla morte di Proust nel 1922, gli ultimi tre volumi non erano ancora stati pubblicati, cosicché era toccato all'editore e ai suoi collaboratori elaborare un testo di senso compiuto estraendolo dal labirinto di brogliacci, correzioni, aggiunte e contraddizioni irrisolte che l'autore aveva lasciato loro in eredità. Altro gravissimo svantaggio per il traduttore, quello di non disporre dei capitoli conclusivi dell'opera, essenziali proprio in quanto servono ad illuminare retrospettivamente gli eventi passati.

Inoltre il caso della RECHERCHE è per molti versi emblematico delle difficoltà incontrate nel tradurre dal francese (e, più in generale, dalle lingue romanze) in inglese. Il francese dispone di una serie di accorgimenti sintattici e grammaticali (come l'onnipresenza delle distinzioni di genere anche per gli oggetti inanimati, l'esistenza del congiuntivo e di un ampio ventaglio di tempi passati), molto utili ad arricchire le frasi di sfumature e a chiarire il senso specialmente dei periodi lunghi e complessi, strumenti di cui l'inglese è invece privo. Anche a prescindere da questi condizionamenti, secondo T. Kilmartin (revisore della traduzione per le edizioni inglesi del 1981 e 1993), Scott Moncrieff si era reso colpevole di una serie di errori grossolani che vanno dalla traduzione letterale di espressioni idiomatiche delle quali esiste un valido equivalente in inglese, agli abbagli causati dai "falsi amici" ("pretended" per "prétendu", "laborious" per "laborieux"), ai veri e propri equivoci che stravolgono del tutto il senso di certe frasi; soprattutto, aveva gravato lo stile di preziosismi che non esistono affatto nell'originale (va qui osservato che, quantunque lo stile di Proust si distingua per la sua architettura complessa, il suo linguaggio è del tutto scevro di affettazioni e stravaganze: la difficoltà per il lettore straniero sta nel seguire il dipanarsi delle frasi, non certo nel lessico). Basta pensare alla traduzione del titolo LA FUGITIVE (o ALBERTINE DISPARUE), che divenne THE SWEET CHEAT'S GONE, soluzione di origine non ignobile (si tratta di una citazione del poeta inglese Walter De La Mare), ma che è stata a ragione definita "una delle trovate meno felici di Scott Moncrieff".

Proust conosceva pochissimo l'inglese, pur avendo tradotto in gioventù (con l'aiuto della madre, di amici poliglotti e della propria conoscenza dell'argomento) due libri del critico d'arte John Ruskin, da lui molto ammirato; la lettura delle favorevoli recensioni con le quali la stampa britannica salutò la Recherche servì comunque a rassicurarlo sulla qualità della traduzione. Quando scrisse a Scott Moncrieff per ringraziarlo non gli risparmiò tuttavia gli appunti critici, arrivando perfino a sostenere che SWANN'S WAY, il titolo inglese di DU CÔTÉ DE CHEZ SWANN, era sbagliato e che lo si sarebbe dovuto cambiare in "To Swann's Way"! Scott Moncrieff scelse di rispondergli in inglese, perché, osservò sarcasticamente, "my knowledge of French, as you have shown me in regard to my titles, is too imperfect (...)".

Le più recenti edizioni della RECHERCHE (1993 e quella del 2001 attualmente in preparazione) recano il titolo IN SEARCH OF LOST TIME, più letterale e meno "traditore" di quello che aveva così indignato Proust; anche in questo caso tuttavia si perde un elemento importante, rappresentato dal doppio significato di "perdu" ("lost" e "wasted"). Un'altra soluzione non certo ideale: del resto Proust, che una volta scrisse "la tâche et le devoir d'un grand écrivain sont ceux d'un traducteur", nel senso che l'artista ridice, in altra forma, le cose che ha vissuto, e a forza di rifacimenti lasciò incompiuta la trascrizione della sua esperienza, avrebbe probabilmente convenuto che è vana la ricerca della traduzione perfetta.



NOTA

Fonti: T. Kilmartin, IN SEARCH OF PAST PERFECT, "The Observer", 15-11-1992; idem, NOTE ON THE TRANSLATION, REMEMBRANCE OF THINGS PAST, Londra, Chatto & Windus, 1981; G. D. Painter, MARCEL PROUST: A BIOGRAPHY, Harmondsworth, Penguin, 1983; J.-Y. Tadié, MARCEL PROUST. BIOGRAPHIE, Parigi, Gallimard, 1996.


L’articolo, riprodotto col consenso dell’autrice, è apparso in precedenza sulla rivista ”Inter@lia”.