27/10/08

Eros Trevisan, TIEPIDI RAGGI


[Shadows looking at each other under the lookwarm rays of the northern sun. Foto di Marzia Poerio]


Eros Trevisan, TIEPIDI RAGGI. Venezia, Litostampa Veneta, 2007

Non è un’immediata facile sonorità a costituire l’ambiente in cui il lettore si trova immerso fin dalla lettura delle prime righe di TIEPIDI RAGGI di Eros Trevisan, poiché è una componente da rincorrere, che resta difficile da individuare essendo rifrazione visiva in primis, anziché immediatamente sonora.

Il lettore si trova, infatti, in un ambiente anfibio, paludoso, tra terra e acqua dove non è ravvisabile un preciso confine. Particolari definiti, colti da un microscopio si direbbe, emergono da uno sfondo non percettibile, alone più che materia: “lineamenti / d’erba Alati / nel nebbioso ondeggio / l’Acuirsi / l’istanza (temporale / co-plana”.

Della poesia vengono sviscerate le potenzialità attraverso una modalità mai estratta come idea manifesta, mai inchiodata come farfalla da spilli. È, dunque, la poesia di Eros Trevisan anche universo ambiguo, di trasmutazione di materie che trapassano dal liquido all’aereo, dall’intreccio vegetale a alla cristallizzazione minerale, giungendo a tessere le immagini attraverso un’inusuale forzatura delle parole.

Utilizzando nuove parole-utensili, la poesia di Eros manifesta il suo vigore, la sua volontà di ricostruire il mondo a partire da ineffabili, imprecise apparenze. Ciò che si vede è diverso da ciò che si costruisce con le parole. È il lavoro materico sulle parole, effettuato attraverso il suono e il senso, che giunge a filtrare l’oro mescolato alla rena, che fa coagulare la parola in immagine.

È così che Eros Trevisan costruisce una poesia che sgorga da una felicissima vena, ma ribattuta e forgiata in ogni più piccolo aspetto! Lì dove, dapprima, si penserebbe a una restituzione delle percezioni effettuata attraverso la sinestesia, si scopre un pullulare di parole organiche che si dividono e si uniscono con regole inusitate, che sfidano persino la consuetudine istituita dal percetto: “libera”, “tra-pinne”, “divarca”, “rivisti”, “riecano”, “cielo / cielo” “brattee”.

Parole che si appropriano anche degli spazi che separano le parole, riorganizzando il senso in relazione a uno spazio visivo o che “selvagge / acque_forme / sabbiose”, legandosi in sequenze impreviste di aminoacidi, vanno a formare nuove combinazioni.

Così il paesaggio che pre-esiste alle poesie di Eros non coincide col paesaggio del tutto innaturale che la sua poesia ci restituisce. Paradossale poetica creazione, di sonora visibilità.


[Rosa Pierno]