11/03/08

Carl Gustav Jung, LA SAGGEZZA ORIENTALE


[Bangkok: altar. Foto di Marzia Poerio]


Carl Gustav Jung, LA SAGGEZZA ORIENTALE. Scritti originariamente pubblicati in tedesco tra il 1935 e il 1955. Torino, Bollati Boringhieri, 2003 (prima edizione italiana 1983)

Sono molte e varie le riflessioni junghiane sull’Oriente in questo volume: se ne enucleano alcune che pongono in luce la somiglianza tra concezioni asiatiche e figurazioni della psicologia analitica.

Tra le vie spiriturali, si evidenziano lo yoga e il buddhismo.

Dello yoga, Jung rileva l'analogia con l'espressione interiore, notando che "in origine lo yoga era un processo naturale d'introversione che assumeva tutte le variazioni individuali possibili. Simili introversioni conducono a processi interni caratteristici che trasformano la personalità" (p. 39-40).

Jung pare preferire il Buddha in quanto razionale a Cristo, ma ritiene più consono all'occidente il cristianesimo del buddhismo (p. 7); entrambe queste vie religiose rappresentano il Sé (p. 7).

Parlando del BARDO-THODÒL (il LIBRO TIBETANO DEI MORTI), scrive che "nell'iniziazione dei vivi, l'aldilà non è affatto per prima cosa un aldilà della morte, bensì un rivolgimento del modo di pensare, quindi un aldilà psicologico che si esprime in una 'redenzione' dai vincoli del mondo e dal peccato. La redenzione avviene tramite un distacco e una liberazione che conducono da un precedente stato di tenebre e d'inconsapevolezza a uno stato d'illuminazione, di liberazione, superamento e trionfo sulle 'cose date'" (p. 18). Il rapporto con la psicologia parrebbe in questo caso la dinamica evolutiva.

Il nesso tra i "contenuti della coscienza" e "i vaneggiamenti e i deliqui irrompenti" è lo stesso che negli individui normali esiste tra sogni e veglia, cioè "essenzialmente un 'rapporto compensatorio'. I contenuti dell'inconscio portano cioè alla superficie tutto ciò che, nel significato più ampio, è necessario al completamento, cioè all'interezza dell'atteggiamento conscio" (p. 118).

La strada verso la spiritualità comprende la rinuncia, concetto sul quale Jung interviene nell’ambito della logica compensatoria della psiche, auspicandone la realizzazione dopo l’esperienza delle passioni:

"[...] un uomo che non è passato attraverso l'inferno delle passioni non le ha mai superate: esse continuano a dimorare nella casa vicina, e in qualunque momento può guizzarne una fiamma che può dar fuoco alla sua stessa casa. Se rinunciamo a troppe cose, se ce le lasciamo indietro, e quasi le dimentichiamo, c'è il pericolo che ciò a cui abbiamo rinunciato o ci siamo lasciati dietro le spalle, ritorni con raddoppiata violenza" (p. 4).

Gli dèi talora corrispondono a valori opposti, "simboleggiano gli opposti". Gli opposti convivono, come in Lao-Tse per il quale "il dubbio è anche la possibilità di credere", "la moralità è anche la tentazione", "l'alto sta sul basso" (p. 85). Secondo Jung è necessaria la "congiunzione degli opposti" (p. 92): "come infatti si potrebbe vedere la luce senza l'ombra, percepire il silenzio senza il rumore; raggiungere la saggezza senza la follia?" (p. 149).

In verità, qual è il confine preciso tra le due polarità? La psicologia ci ricorda che mentre la demarcazione è individuabile, la linea che separa la luce dall'ombra e la saggezza dalla follia è larga e contorta.


[Roberto Bertoni]