04/01/08

STORIA DELLA LETTERATURA SPEZZINA E LUNIGIANESE, a cura di Giovanni Bilotti


[The so-called "Gulf of the Poets" from the heights of La Rocchetta. Foto di Marzia Poerio]


2 volumi, La Spezia, Edizioni Cinque Terre, 2007

Con gli esergo alla sua cospicua storia e antologia letteraria, rivisitata nell’impianto e ampliata rispetto alla precedente del 2002, il curatore Giovanni Bilotti (poeta e catalizzatore culturale) indica chiaramente i due centri focali del suo ampio lavoro: testo e ricezione. I testi e i lettori. Con il passo di H.-G. Gadamer nel risvolto di copertina [1], Bilotti anticipa la propria opzione per un concetto allargato di letteratura, di cui l’opera strettamente letteraria costituirebbe solo una componente, nel grande mare del discorso scritto. Mentre, con la citazione da I. Bertoletti, “Cos’è l’arte se non una ‘finalità senza scopo’, nella quale l’umano trascende se stesso e pare sospendere la tirannia del tempo?” [2], punta dritto a indicare nella lettura un atto di elevazione e salvazione dall’oblìo.

Ed infatti, come evinciamo dalla NOTA DEL CURATORE (pp. 7-13), il progetto s’è mosso a spola tra la realtà dei tanti collaboratori (e dei loro testi) e l’ideale di un pubblico di lettori, sollecitati a interrogarsi sulla natura della letteratura, sui motivi e le finalità della scrittura, delle sue forme e generi, domande che si pongono fortemente in una società come la presente, sempre più visiva, sempre più tecnologica, sempre meno etica. Ma, volutamente evitando di dare interpretazioni univoche, ponendosi al servizio della pluralità ed eterogeneità, rispettando la complessità del panorama culturale di un territorio che, come giustamente osserva Spartaco Gamberini nella prefazione [3], è anch’esso estremamente parcellizzato, Bilotti affida ai due volumi soprattutto il compito di “sfidare il tempo e divenire punto di riferimento storico-culturale per studiosi e appassionati” (p.11).

Un’opera miscellanea, insomma, prevalentemente storica e documentaria (nel suo spaziare dal medioevo ai nostri giorni), in cui non troveremo una teoria o indagine critica unitaria, ma vari contributi di riflessione e approfondimento, suddivisi in più sezioni, unitamente a un’antologia di testi letterari e non. Anzi, quest’opera è in qualche modo figlia del nostro tempo, adesso che, come ben constata con evidente soddisfazione Spartaco Gamberini, “col tramonto delle ideologie […] l’unico suggerimento che il critico possa ancora dare al lettore […] è di leggere il testo, e dopo averlo letto rileggerlo, e poi rileggerlo ancora, ripetutamente, senza stancarsi mai” (p.15). Di fronte a questo invito alla lettura di un polifonico dialogo ideale tra voci a vario titolo giudicate significative dal curatore e dai suoi collaboratori, e accomunate dall’appartenenza territoriale, il lettore è grato di non trovarsi di fronte a un’enciclopedia, la quale, se avrebbe più soddisfacentemente servito la “mappatura” geografica e culturale, avrebbe però anche sacrificato la cronologia (Gamberini) e, direi anche, soprattutto, la vitalità magmatica - solo in parte sistematizzabile - di un coacervo di percorsi individuali liberamente estrinsecati.

Il volume I si apre con una prima sezione intitolata CONSIDERAZIONI SULLA LETTERATURA, con sette diversissimi interventi per stile, approccio e contenuti, sul tema della poesia. Nel saggio di apertura, SCRIVERE VERSI (pp. 36-55), Bilotti esprime la sua personalissima preferenza per la poesia come “portatrice d’amore, serenità e consolazione” e il suo altrettanto personalissimo rigetto, piuttosto drastico, per quelle che il critico definisce le “poetiche del buio”, secondo una linea che da Gongora e poi Mallarmé e certo Valéry “matematico” arriverebbe agli “epigoni” Poe, Browning e il primo Ungaretti, a favore invece di un fare poetico “terapeutico” (cfr. le citazioni da A. Bertolucci e R. Pazzi) che, come nelle più volte citato poeta americano Gary Snyder, si alimenta di “‘cose’, parole” e non di “sofisticatissime e poderosissime costruzioni tecniche e mentali”. Poesia di cose e sentimenti, insomma, perché “senza impegno, senza cura, senza cuore non cresce la poesia nei cuori e nelle menti degli uomini”. Il critico porta a esempio Dante, Tagore, Keats, Hölderlin, Yeats e Novalis, come poeti “nei quali è sempre viva l’azione equilibratrice e congiunta della mente e del cuore”.

Di necessario equilibrio tra “profondo sentire” e “perizia formale” parla Angelo Tonelli nel suo incandescente scritto su LA POESIA COME CONOSCENZA (pp. 80-82), un richiamo alla concezione orfica della poesia come meditazione e conoscenza cosmica, e del poeta come alchimista, mago, saggio nel senso antico, colui che tende oltre i limiti del soggetto e che anzi recupera “una prospettiva che precede quella dell’individuazione” [4]

Da segnalare il bello scritto di Roberto Natale [pp. 76-79] su IL DIALETTO COME SPERIMENTAZIONE, “operazione contemporanea d’alta cultura”, con riferimenti al poeta della Serra di Lerici Paolo Bertolani, nei cui testi il dialetto “può tornare a farsi lingua ‘altra’, ai limiti della sua intraducibilità, e quindi sperimentale, antagonismo ad una koiné usurata”.

La seconda sezione, LA STORIA, inizia con ‘un libro nel libro’, PAROLE DI LUNIGIANA. LA LETTERATURA SPEZZINA E LUNIGIANESE DALLE ORIGINI ALLA SECONDA GUERRA, di Giuseppe L. Coluccia: rigorosa, dotta ma non per questo meno godibile carrellata storica in nove capitoli (pp. 85-588). Chi recensisce ha particolarmente apprezzato, per suo interesse personale, il “cameo” del capitolo I (“PORTUS LUNAE” E ORIGINI DELLA SPEZIA, pp. 90-125), dedicato a San Venerio del Tino (pp.107-20) e, nel capitolo VIII (PASSIONE DI PATRIA, DI POPOLO, DI LIBERTÀ, pp. 376-442), i paragrafi dedicati a Ubaldo Mazzini (pp. 452-59) e a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (pp. 459-70). Un altro libro nel libro, notevole per la ricchezza e varietà della galleria di personaggi trattati, pertanto per il suo valore documentario, è poi il capitolo IX, IDENTITÀ LUNIGIANESE, PRIMA METÀ DEL NOVECENTO (pp. 443-588), con cui Coluccia conclude la sua fatica.

Alla storia letteraria di Coluccia segue, sempre nel volume I, una sezione di APPROFONDIMENTI, raggruppati in 4 periodi storici (dalle origini alla Prima Guerra mondiale), di cui il recensore, per comunità d’interessi, tiene qui a ricordare il saggio di Rita Baldassarri, CENNO A UNA “LINEA” DI POESIA LIGURE E SUOI RAPPORTI CON LA CULTURA VERSILIESE (pp. 773-84), che ben sottolinea il legame con la tradizione nazionale e il valore translocale, universale, di una linea poetica “ligure” rintracciabile nelle comunanze o nei transiti tematici (si vedano le belle pagine sul “tema del viandante”). Un altro imperdibile cameo è il tributo a Ubaldo Mazzini del poeta dialettale e “custode del dialetto spezzino” Renzo Fregoso, CIRCONLOCUZIONE ATTORNO ALLA POESIA IN DIALETTO DI UBALDO MAZZINI (pp. 785-93).

Il volume II si apre con la terza sezione DALLA SECONDA GUERRA AD OGGI, il cui primo saggio POESIA E PROSA DI SPEZIA E LUNIGIANA DALLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO AI PRIMI ANNI DUEMILA (pp. 825-912) è curato da Egidio Banti: un ricco e variegato who’s who, dove ai nomi più conosciuti sono affiancati democraticamente anche i meno conosciuti, in una carrellata che rende conto dello sterminato panorama di pubblicazioni, presso case editrici maggiori o minori, di poeti e narratori legati al territorio o per nascita o per “cittadinanza” acquisita.

Interessante il quadro introduttivo tracciato da Banti sul sistema cultura configuratosi nel territorio dalla metà del secolo scorso in qua: alla trattazione delle vocazioni del territorio, agenzie culturali (parchi, premi, fondazioni), spazi e strumenti (biblioteche, teatri), segue un dettagliato, talvolta dettagliatissimo, resoconto di figure che a vario titolo si sono distinte in ambito culturale, raggruppate secondo diversi criteri.

Si menzionano qui, tra gli altri, i capitoli sui “grandi emigrati” (Giovanni Giudici, Giancarlo Marmori, Gian Carlo Fusco, Roberto Natale, Aldo Rescio, Umberto Fiori, Fabio Scotto, Mario Spagnol, Roberto Pazzi, Arrigo Petacco e l’“immigrato” Mario Soldati), sull’ironia di Gino Patroni, sulla poesia in dialetto (Renzo Fregoso e Paolo Bertolani) e in lingua (con un capitolo sulle innumerevoli “voci femminili”, fra le quali vorrei qui ricordare la compianta Rita Baldassarri), i narratori “di razza” (Maurizio Maggiani e Marco Buticchi), il mito della “spezzinità” (Ettore Alighieri e Marco Ferrari), la poesia in latino di Mons. Lino Crovara, le figure emergenti in poesia e in prosa nei primi anni del Duemila.

Alla storia letteraria di Banti segue una sezione su LE GENERAZIONI RECENTI, composta da un’introduzione di Bilotti all’opera e attività di Angelo Tonelli, una scelta antologica e presentazione critica di GIOVANI POETI DEL GOLFO DEGLI DÈI a cura di Tonelli, una storia del premio Lerici-Pea a cura di Stefano Verdino. Nella successiva sezione APPROFONDIMENTI: due scritti “complementari”, trattando l’uno di un evento “importato”, IL GRUPPO 63 ALLA SPEZIA, di Roberto Centi, e l’altro di un intellettuale spezzino “esportato”, GIANCARLO MARMORI: LETTERATO DEL TERZO MILLENNIO, di Salvatore Amedeo Zagone; ma anche la meritoria presentazione e antologizzazione della poesia latina di Mons. Lino Crovara, a cura di Sandro Lagomarsini, e il raffinato saggio comparatistico di Isabella Tedesco, CAMPANA A GENOVA, MONTALE A MONTEROSSO. UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE DELLA LUCE MEDITERRANEA, di cui il recensore, per essersene occupato [5], apprezza le annotazioni sullo sviluppo e trasformazione del fenomeno luminoso in Montale da OSSI a OCCASIONI.

Degli APPROFONDIMENTI fanno parte anche le SCHEDE, a cura di Franco Tralli (pp. 1019-27) dove sono presentati brevemente e antologizzati gli autori da Tralli stesso segnalati per la prima e seconda edizione della STORIA: diciotto autori, in ordine alfabetico, tra i quali Bilotti. Segue un’INTEGRAZIONE A “LE SCHEDE”, a cura di Bilotti, su G. Bono Marchetti e Coluccia. Roberto Bertoni chiude la sezione con un approfondimento su FOLTO, MURI, VARCHI IN PARTE MONTALIANI DI P. BERTOLANI E A. TONELLI (pp. 1148-60), in cui il critico tenta, paragona e fa reagire i testi di Bertolani e Tonelli con i temi montaliani del folto, del varco e del muro.

La IV sezione, IL DIALETTO, ospita l’appassionato e godibilissimo saggio di Franco Lena IL DIALETTO SPEZZINO DALLA A ALLA S (LA Z PER LO SPEZZINO NON ESISTE) (pp.1165-1193), sulla collocazione dello spezzino nel sistema dei dialetti, le sue caratteristiche, la sua evoluzione e trasformazione, la produzione poetica (da U. Mazzini a poeti meno conosciuti, come A. Ricco e G. Verrando).

Nella sezione V, sui LUOGHI DELLA POESIA, Michele Baraldi declina liste di intellettuali, professori, poeti e romanzieri di ogni epoca e latitudine, con i quali è entrato direttamente o indirettamente in contatto e dai quali, tutti, ha tratto ispirazione. Nel bel saggio che segue, Roberto Bugliani (pp.1216-32) ricostruisce il vivace clima culturale del decennio 1945-1955 a Bocca di Magra e Ameglia, indaga il ruolo delle notazioni paesaggistiche nell’opera poetica di Franco Fortini, ne circoscrive un sottocorpus e approfondisce al suo interno l’analisi del testo-guida AGLI DÈI DELLA MATTINATA, dove rileva un “cammino testuale dall’idillio della vita campestre tranquilla e felice alla sua negazione”, che “trasforma l’io lirico in complessivo io politico, e lo sguardo naturalistico sul paesaggio in sguardo storico, in sguardo di parte”.

La stessa sezione include anche saggi di approfondimento storico, etnografico, e su generi letterari minori, popolari: mi riferisco a Emilia Petacco, ARCOLA: UOMINI, CULTURA, TERRITORIO; a Sandro Lagomarsini, ARTE, DEVOZIONE, POESIA IN VAL DI MAGRA; a Casimiro Bonfigli, LETTERATURA E FEDE IN LUNIGIANA; a Vincenzo Bo, LA POESIA NEGLI ALMANACCHI POPOLARI DELLE CINQUE TERRE. Affascinante il ritratto dell’uomo e dell’opera poetica di Francesco Tonelli, in BREVE SAGGIO SULLA POESIA LERICINA, di Enrico Calzolari (pp.1313-34).

La sezione VI, TRA LE DUE GUERRE, è costituita dai ritratti e relative bibliografie (utilissime!) di Ubaldo Mazzini, Ettore Cozzani, Francesco Ercole e Carlo Alberto Biggini.

La sezione VII, FIGURE DELLA CULTURA CONTEMPORANEA, risponde all’allargamento del letterario annunciato con la citazione da Gadamer nel risvolto di copertina: ed ecco i capitoli su IL GIORNALISMO, ARTISTI, REGISTI, FOTOGRAFI, ATTORI, CANTAUTORI, AUTORI VARI, categoria quest’ultima appositamente creata per Gino Di Rosa e Attilio Del Santo.

La sezione SCRITTURA E TERRITORIO propone, in ultimo, nove saggi su svariate tematiche, fra i quali è particolarmente apprezzabile, per l’irruzione dell’“altrove” in una storia letteraria che focalizza così fortemente sul territorio, il saggio di Luisa Rossi, “GEOGRAFIE PRIVATE”. APPUNTI PER UNA STORIA DEI NOSTRI VIAGGIATORI (pp. 1536-49).

L’opera si conclude con parecchie altre SCHEDE BIOGRAFICHE di intellettuali della zona.

Il recensore è a questo punto esausto, ma, mentre sogna un’isola deserta, sorride all’idea che qualcuno possa essere sfuggito al “raschino” di Bilotti.


NOTE

[1] Tratto da VERITÀ E METODO (1960), trad. it. Milano, Bompiani, 1983.
[2] Da Ilario Bertoletti, METAFISICA DEL REDATTORE, Pisa, ETS, 2005.
[3] PREFAZIONE: PROPOSITI, LIMITI E APERTURE, pp. 15-17.
[4] Cfr. Giorgio Colli, DOPO NIETZSCHE, Milano, Adelphi, 1974.
[5] In Steen Jansen e Paola Polito, TEMA E METAFORA IN TESTI POETICI DI LEOPARDI, MONTALE E MAGRELLI. SAGGI DI LESSICOGRAFIA LETTERARIA, Firenze, Olschki, 2004.


[Paola Polito]