19/09/07

Francesca De Carolis, ANGELA, ANGELO ANGELO MIO IO NON SAPEVO

Storia del pianista jazz Luca Flores, Viterbo, Stampa Alternativa, 2007. In allegato: cd OMAGGIO A LUCA FORES, concerto di Michelle Bobko (Cavriglia, 13-5-2004)


ANTAGONISMO TRA RUMORE E MUSICA NELLA VITA BREVE DI LUCA FLORES

Ascoltando mentalmente la nota musica che si associa a questo malinconico titolo, affiorano subito due riflessioni: Luigi Tenco, che ha vissuto così poco, ha fatto in tempo a diventare maestro delle generazioni successive, nei comportamenti disperati così come nella musica?

Luca Flores, personaggio centrale di questo libro aveva arrangiato, nel 199, ANGELA, il celebre brano del cantautore piemontese da cui sono tratte le parole del titolo, in duo con la voce di Michelle Bobko, allora sua nuova compagna. Già presentiva che un addio sarebbe arrivato comunque presto, anche per lui, per loro?

Luca e Michelle sono i protagonisti di questo libro, sullo sfondo - appena delineati anche se si intuiscono fondamentali - gli affetti delle due rispettive famiglie. Poi ci sono i gatti, teneramente amati da entrambi, quasi la loro famiglia comune. Poco presenti qui, diversamente, mi pare che nel libro di Walter Veltroni sullo stesso Flores, i collaboratori-musicisti, se si esclude la presenza gentile di un percussionista africano, Gabin.

La voce che racconta in prima persona è quella di Michelle e tuttavia questo è un libro in cui si sovrappongono e s'armonizzano due voci, perché è Francesca De Carolis che travasa quelle confessioni sulla pagina, e la trascrizione non può essere, e non è, automatica. La grande scommessa è che il racconto anche "sulla pagina" funzioni, sia asciutto, avvincente, pur restando nell'ottica di un personaggio. Per questo occorre uno stile. La scrittura adotta un ritmo cadenzato, franto, percussivo. Un ritmo che bene si addice al racconto degli ultimi cinque anni di vita di un musicista jazz.

Veniamo a conoscenza della sofferenza di Luca, attraverso il racconto del dolore di Michelle. Una donna subito innamorata, perciò ottimista, e, almeno fino a un certo punto, attivamente reattiva (come quando, dopo un terribile sogno, fa scomparire la preziosa collezione di coltelli di Luca). Capace di superare l'indifferenza che è spesso la risposta, almeno apparente, di lui, la sua incapacità di rompere il muro di gelo che lo circonda. Il personaggio di lei arriva a dire: "Mi sentivo così inutile, e stupida, e disprezzabile cosa".

Ascoltiamo anche la diretta voce di Michelle, la sua voce senza la mediazione di un altro progetto di scrittura, in una delle sue poesie allegate al libro: "Pain is [...] the strainght it takes / to hold back / the sea".

Fino a un certo punto, arginare le pulsioni negative dell'altro, può essere un'avventura che mette alla prova l'umanità di un individuo forte. Poi "la marea" irrompe e l'avventura precipita, la vita stessa, qui la vita di Luca, si spezza.

Lei sceglie di continuare a esistere, ed è gesto che richiede determinazione. Ci vuole forza per sottrarsi al risucchio di quella marea. Sceglie la vita, direi nei suoi aspetti emblematici, semplici, fisici. La musica, certo, ma anche e forse soprattutto respirare, correre, nuotare, i fiori, il sole, gli animali.

Michelle e Luca.Tuttavia il libro ha un altro protagonista che s'impone: il suono nei suoi due aspetti opposti e collegati, la musica e il il suo antagonista, il rumore.
Si propone qui un quesito, fondamentale per un musicista jazz, partito da una formazione classica. Nella rottura di quegli schemi, cercando liberamente, anche improvvisando, qual'è, nel continuum sonoro, il confine tra musica e rumore? Un quesito non risolvibile certo sul piano teorico, come ogni confronto tra ciò che è arte e ciò che non lo è.

I luoghi con il loro corredo di suoni indifferenti, non rivolti a noi, non sono mai neutrali nello svolgimento della nostra vita. Quasi all'inizio del rapporto con Michelle, Luca decide di lasciare il casolare di compagna dove vive, per trasferirsi in un ex granaio forse di proprietà della famiglia, se al piano di sotto vive il fratello. Sono nel borgo antico della Certosa ( di Firenze dovrebbe trattarsi anche se il nome della città stranamente non viene mai fatto). Luca si sistema lì, nell'appartamento che guarda sui tetti, ma, a piano terra c'è un laboratorio del ferro, macchinari rumorosissimi, sempre in incessante attività (p. 34). Un'imprudenza? Una minaccia sottovalutata che dal di fuori irrompe nella vita già fragile del musicista?

Quale requisito appare più necessario all'ambiente di chi si occupa di musica, che l'isolamento acustico, l'astrazione da ogni suono che non sia quello volontariamente provocato, ad arte appunto, sullo strumento?

Può avvenire che sul rumore importuno, esterno, s'inserisca un'eco, che viene dall'interno. Un suono che fino a un certo limite può liberarsi in un parossismo virtuosistico, ma, superato il segno, diventa spaventoso caos sonoro.

Nella vita degli artisti, noto, si verificano delle sovrapposizioni, dei percorsi quasi identici.
Questo soggiorno al piano alto sopra l'officina per la lavorazione del ferro, l'ho ricollegato a un episodio narrato da Rilke in TESTAMENTO: la brutta sorpresa di una segheria elettrica che viene installata nel giardino della villa-castello di Berg in Svizzera, dove il poeta era stato ospitato per lavorare in tranquillità. Anche lui scrive dell'impossibilità di comporre la sua poesia con quel rumore ossessivo che solo di notte cessa riconducendo un miracoloso silenzio. Anche lui sperimenta successivamente, e ne parla in quello stesso libro, ciò che chiama la "dura prova estranea". Come se il male psichico fosse ricollegabile a qualcosa che giunge da fuori. Rilke si trova allora a riempire tre pagine del suo taccuino di viaggio di parole, dice, "insensate nelle quali si disgregò il mio spirito, quando all'improvviso una difficoltà estranea gli si riversò addosso come acido corrosivo". Tre sole pagine di parole senza senso, contro le rimanenti pagine bianche, ma così contaminate da quell'assalto, che è costretto a gettare l'intero taccuino nel fuoco.

L'artista conosce momenti di intima rottura degli schemi, di pura frenesia, ma il baratro si spalanca solo quando vede il suo agire precipitare, sfuggire a ogni possibile forma, pura estraneità. Anche per Luca giunge il momento, in cui "questa difficoltà estranea gli si rovescia addosso come acido corrosivo". A lui avviene sotto gli occhi di tutti, durante un concerto. Gli altri musicisti si allontanano dal palco, il pubblico lascia la sala. Luca rimane solo.

Da questo episodio, a quanto risulta dal libro, Luca non si riprenderà mai. Anche il rapporto con Michelle ne uscirà scosso in modo forse non più rimediabile.

Un breve commento al CD accluso al libro, con musiche cantate da Michelle Bobko. Il brano A COLORO CHE NON HO CONOSCIUTO, scritto per ultimo e qui inserito, ha un titolo poeticissimo, nella sua ovvietà. Ogni arte è, per destino, rivolta a chi non si conosce. Se il destinatario resta nell'ambito degli affetti, delle amicizie, o degli addetti, non ci distanziamo troppo da un progetto infantile, realizzato per la delizia di chi ci sostiene e ci ama. Luca Flores dedica la sua musica a quelli che non ha conosciuto. Questo significa, al limite della sua vita, la volontà di trovare una voce che duri nel tempo, quella dell'arte appunto.


[Piera Mattei]