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A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
Address (place of publication): Italian Dept, Trinity College, Dublin 2, Ireland. Tel. 087 719 8225.
ISSN 2009-7123
30/05/07
Don DeLillo, FALLING MAN
[Freedom. Ringsend 1. Foto di Elizabeth Hutcheson]
Un romanzo ambientato a New York e che inizia l'11 settembre non è certo facile da scrivere e da gestire, ma in FALLING MAN (London, Picador, 2007), DeLillo riesce a dimostrare come tutto sia cambiato da quel momento nella percezione del senso del presente e del futuro, nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali [1].
Le vicende sono riferite, con un metodo più prossimo al moderno che al tardo moderno, tramite flussi di coscienza dei personaggi e dialoghi significativi. Keith, sopravvissuto al crollo delle Torri Gemelle, per un istinto legato alla nuova emotività determinata dall'evento, si reca a casa della moglie Lianne, da cui è diviso e con la quale avvia un tentativo di riappacificazione; c'è un figlio, Justine, un bambino che ritiene che le torri siano ancora in piedi e che un terrorista di nome Bill Lawton (così crede si chiami Bin Laden) produrrà altri atti di terrorismo. L'azione continua per alcuni anni. Parallela alla storia di questa famiglia c'è quella della madre di Lianne, Nina (un'intellettuale esperta di arti visive), e del suo amante Martin. Alla fine di ogni sezione del romanzo, sempre per mezzo di flussi di coscienza, si presenta la figura di chi ha provocato il crollo delle torri, con pensieri riferiti come sensazioni e riflessioni vissute dall'interno, cercando di capire anche quell'angolazione sugli avvenimenti.
La scena iniziale e quella finale si riprendono con circolarità: il giorno dell'attentato, in principio con Keith in cammino fuori dalle torri tra le rovine e le quotidianità infrante della contemporaneità ("a Breakfast Special sign" in pezzi, p. 3; sguardi di "members from the taichi group from the park nearby", p. 4); nella conclusione ricostruendo l'impatto del velivolo contro la prima torre, le reazioni del protagonista, le ferite, le tragedie circostanti, l'uscita all'aperto, la caduta libera di un individuo lanciatosi o caduto da una finestra.
L'immagine della caduta, ripresa varie volte nella narrazione (e da leggersi anche metaforicamente rispetto all'attuale civiltà umana) è però, tranne nel caso di cui sopra, quella di un equilibrista, David Janiak, che si lasciava precipitare da altezze elevate nel vuoto e veniva denominato appunto "falling man": voli liberi, programmati, per attirare l'attenzione, finendo in un vuoto che è quello in cui viviamo.
Il caso ha un peso e compare in vari modi, soprattutto nella passione di Keith per il poker, gioco al quale si dedica non per soldi ma per interesse mentale: come un'allegoria delle partite politiche, di strategia e di casualità, che caratterizzano il conflitto manifestatosi in relazione al terrorismo, un senso del rischio cui Keith dopo l'11 settembre si concede, mentre Lianne cerca la sicurezza: "She wanted to be safe in the world and he did not" (p. 216).
Si comprende che l'insensatezza domina: "I know that most lives make no sense. I mean in this country, what makes sense?" (p. 215).
L'umanità si propone in quanto valore di per sé, pur se in una scrittura non incline ai toni retorici e al sentimentalismo. Lianne si occupa di un gruppo di malati di Alzheimer. Marion e Nina esprimono momenti di solidarietà. Keith e sua moglie cercano di capirsi, come se le liti che avevano caratterizzato una fase precedente della loro esistenza non fossero più necessarie e se ne potesse fare a meno. Si riscoprono le aggregazioni del nucleo familiare, a difesa dall'aggressione del mondo esterno: "We need to stay together, keep the family going [...]. Times like these, the family is necessary" (p. 214).
Riferimenti autoriflessivi alla funzione della narrativa intercalano il racconto degli accadimenti e delle biografie dei personaggi. Che cos'è in definitiva questa storia? "What we carry. This is the story in the end" (p. 91).
Su un piano saggistico, le posizioni di DeLillo rispetto all'11 settembre si leggono nel testo IN THE RUINS OF THE FUTURE [2], in cui le idee si enucleano all'interno della società dei mercati del capitale e in una situazione in cui "terror's response is a narrative that has been developing over the years, only now becoming inescapable"; e il presupposto che il futuro si allontani, ogni istante di quotidianità abitudinaria si dissipi, il terrore possa scaturire in ogni momento:
"We like to think that America invented the future. We are comfortable with the future, intimate with it. But there are disturbances now, in large and small ways, a chain of reconsiderations. Where we live, how we travel, what we think about when we look at our children. For many people, the event has changed the grain of the most routine moment.
We may find that the ruin of the towers is implicit in other things. The new Palm Pilot at a fingertip's reach, the stretch limousine parked outside the hotel, the midtown skyscraper under construction, carrying the name of a major investment bank - all haunted in a way by what has happened, less assured in their authority, in the prerogatives they offer.
There is fear of other kinds of terrorism, the prospect that biological and chemical weapons will contaminate the air we breathe and the water we drink. There wasn't much concern about this after earlier terrorist acts. This time we are trying to name the future, not in our normally hopeful way, but guided by dread.
What has already happened is sufficient to affect the air around us, psychologically. We are all breathing the fumes of lower Manhattan, where traces of the dead are everywhere, in the soft breeze off the river, on rooftops and windows, in our hair and on our clothes".
[1] Tra le recensioni si segnalano quelle di Franck Reach sul "New York Times", 27-5-2007; e Toby Litt sul "Guardian" del 26-5-2007.
[2] "Harper's Magazine", dicembre 2001; poi sul "Guardian", 22-12-2001; leggibile integralmente a http:// books. guardian. co. uk/.
[Roberto Bertoni]