21/04/07

Zygmunt Bauman, HOMO CONSUMENS. LO SCIAME INQUIETO DEI CONSUMATORI E LA MISERIA DEGLI ESCLUSI



[To what extent is buying due to need? Foto di Marzia Poerio]









HOMO CONSUMENS (Gardolo - Trento -, Erikson, 2007), un'altra tessera del mosaico di Bauman sull'analisi della modernità liquida [1], nasce da conferenze tenute in alcune città italiane.

Oltre a un'analisi degli abiti di consumo e a un'esame di alcune ragioni della povertà, lo studioso si propone lo scopo etico di rilanciare, in un presente caratterizzato dall'egoismo, il valore illuminista della fratellanza, della responsabilitrà degli uni verso gli altri, della solidarietà e della fiducia. È una sfida giusta, questa di Bauman: se si potessero esprimere tali valori, in effetti gli esseri umani saprebbero ritrovare la possibilità di operare collettivamente nell'ambito di un umanesimo concreto e pratico. Quel che c'è domandarsi, purtroppo, è se i meccanismi della tarda modernità (la competizione economica sfrenata, l'imitazione dei modelli narcisisti proposti dalle fonti di consenso, la frammentazione e la rottura dei rapporti di cooperazione tra individui e comunità), lo consentano. In breve: siamo spacciati, relativamente alla socialità? A chi stanno a cuore questioni siffatte, sembrerà utile leggere i libri di Bauman. Qui di seguito alcune riflessioni del sociologo.

Il consumo è visto, sulla scia anche di altri (tra cui Michel Maffesoli e Mary Douglas), come moda della moderna tribù, comportamento del "branco" (p. 16); e chi si sottrae prova un "penoso senso di solitudine" (p. 17). La sovrabbondanza delle possibilità a disposizione crea stati d'ansia; e il timore dell'inadeguatezza (di non essere come gli altri, di non poter partecipare appropriatamente nella corsa al consumo) produce anche depressione, forse ha anzi sostituito il senso di colpa della prima modernità (p. 21). La felicità non è affatto garantita, in quanto l'insoddisfazione, nel consumismo, deve prevalere perché si rinnovino il bisogno di acquistare e la dipendenza dal mercato; si nota inoltre "il diffuso bisogno di fare shopping per trovare sollievo contro l'angoscia e il dolore" (p. 50).

Dal consumo è influenzata la sfera mnestica, in quanto un "continuo apprendimento" si accompagna a un "rapido oblio", entrambi necessari per procedere ad ulteriori consumi (p. 22). La ricerca di nuovi beni di consumo propone un rinnovamento ripetuto dell'identità (p. 26). Chi si accontenta di ciò che ha ed è soddisfatto dell'identità che gli pertiene è relegato ai margini (p. 28).

Anche la "logica sentimentale", come la designa Pascal Lardellier, "tende ad assumere una sempre più evidente configurazione consumista", consistente nella ricerca di una persona adeguata, composta a tavolino, in un "marketing dell'amore" (p. 31), mentre sempre meno si sopporta il conflitto nato dalla convivenza (p. 33). Scompare il concetto di eternità in quanto valore (p. 32).

Ad altri livelli, le pratiche di partecipazione democratica alla vita civica si indeboliscono. Il concetto di dovere verso la collettività viene meno; e ad esso si sostituiscono forme di identificazione di massa fondate "sul piacere e sul divertimento" (lo sport, ad esempio) (p. 47). Si fruisce così il "grande tutto" del "carnevale", ovvero il rito collettivo nel senso in cui lo intende Michail Bachtin e che si presenta, nell'interpretazione di Bauman, come simulacro della "defunta comunità" (P. 48).

La povertà non è stata sconfitta, viene anzi incrementata dal consumismo, perché, come osserva N.R. Shreshtha, "i poveri sono obbligati a impiegare i loro pochi soldi e risorse nell'acquisto dissennato di oggetti di consumo, invece che di beni necessari, per proteggersi dalla derisione e dall'umiliazione sociale" (pp. 55-56). Pertanto, commenta Bauman, "quel che definisce la povertà, cioè l'anormalità, al giorno d'oggi non è l'occupazione, ma la capacità di consumare" (pp. 56-57). L'esclusione emargina e viene imputata agli individui che ne sono vittime più spesso che a ragioni sociali.

Tra le reazioni negative dei consumatori c'è il risentimento. L'amore per il prossimo, un principio necessario alla convivenza umana (p. 70), collegato all'amor proprio, è difficile da praticare in situazioni in cui l'altro, come già indicava Freud, non ha considerazione per noi, anzi ci calunnia e ci ingiuria. Se non ci vengono date rassicurazioni sull'accettazione da parte degli altri, l'amor propio si dissipa e l'odio si diffonde. Quanto spesso oggi si rispetta davvero "l'unicità dell'altro", apprezzando "la sua differenza" e pensando che "le differenze rendono il mondo più ricco e affascinante" (p. 71)?

Uno dei meriti di Bauman è individuare il portato emotivo dei mutamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni, con quanto di esistenziale si riflette nei comportamenti personali, nelle sensazioni di angoscia e felicità provate da ciascuno.

Le conseguenze, si vuole qui aggiungere, sono anche nel campo della letteratura: questa è la realtà in cui si scrive oggi e sarebbe strano non vederne le manifestazioni nei romanzi e nella poesia. Se uno dei grandi temi della narrativa odierna è l'identità nei suoi vari aspetti personali e collettivi, locali e globali, senza dubbio è importante notare l'emergere anche dell'ansia, del senso di inadeguatezza rispetto ai modelli sociali dominanti, del sopravvivere in condizioni di povertà economica e psicologica.

Bauman è uno dei sociologi che ci parlano.


[1] Una recensione di un altro libro di Bauman, INTERVISTA SULL'IDENTITÀ, è in CARTE ALLINEATE, 3, in data 30-3-2007.


[Roberto Bertoni]