[Los amantes (Collezione privata 2017). Foto Rb]
Isabel Allende, L'amante giapponese. I edizione in lingua spagnola 2015. Traduzione italiana di E. Liverani,
Milano, Feltrinelli, 2015
Al momento in cui inizia la
narrazione, che ha molti momenti retrospettivi, Alma Belasco è un’anziana che
vive in una casa di riposo confortevole,
democratica e compassionevole in California. Di origine ebraica e persi i genitori da bambina nei campi nazisti in Polonia,
il ramo statunitense della famiglia riesce a portarla in America, dove cresce a casa dello zio miliardario, scoprendo col tempo una passione per il design
e creandosi una fama nel campo della moda. Ottantenne, ha rinunciato a
quasi tutto, portandosi appresso, nell’alloggio per la terza età, solo l’essenziale, con atteggiamento in parte Zen, suggerito da elementi relativi alla rinuncia
buddhista nel testo, ma soprattutto determinato dalla biografia
sentimentale: si è ritirata dalla vita pubblica in seguito alla morte del suo
amante segreto di una vita, il giapponese Ichimei, anch’egli reduce da un’esperienza
traumatizzante di internamento nei campi in cui vennero chiusi i giapponesi
durante la seconda guerra mondiale, quindi divenuto giardiniere dei Belasco. La
storia d’amore di Alma e Ichimei giovani si era conclusa con un aborto
spontaneo di lei dopo che aveva deciso di avere un’interruzione di gravidanza volontaria, interrotta
dalla generosità del cugino, che, affezionato con candore fin dall’infanzia ad
Alma, decide di sposarla e con la quale avrà un figlio, ma si scoprirà
parecchie pagine dopo che la sua tendenza sessuale dominante è omosessuale. Ichimei non saprà mai della perdita del figlio concepito con Alma, che lo lascia con un pretesto, ma in realtà è perché non aveva avuto l’energia,
allora, di rinunciare ai benefici della posizione di classe privilegiata. Ichimei si
ricostruisce una vita con una moglie nipponico-statunitense e una vita serena,
ma a un certo punto della vita Alma e Ichimei riprendono la relazione segreta. Arrivando
nella contemporaneità, questa storia di ferite interiori, emigrazione,
difficile integrazione sociale di Ichimei ed egoismo di Alma, a
dispetto dei sentimenti reciproci, si intreccia con quella di Irina, impiegata
moldava presso la clinica in cui risiede Alma, anch’ella con un trauma alle
spalle (era stata costretta dal patrigno a produrre immagini pornografiche
quando era ancora adolescente, dal che, dopo la denuncia dell’uomo, la vita personale
segregata, protetta dalla polizia sotto nuova identità). Irina viene infine curata sentimentalmente
dall’affetto ricambiato del nipote di Alma che, pur rampollo viziato della
grande famiglia, è in grado di manifestare altruismo.
Alla luce di questo sommario
parziale, non stupirà che Allende definisca il romanzo “una historia de amor,
romance, memoria, vejez, inmigración, dolor y muerte” [1].
Interessante anche il fatto che,
a differenza delle sue critiche al conservatorismo americano, compreso quello
di Trump [2],
la California da lei descritta abbia caratteri di apertura mentale
liberaleggiante verso il diverso e di ecologismo, nonché di spiritualismo da
era dell’Acquario.
La California è un territorio geografico
e sociale che Allende conosce bene, dato che vi risiede, dichiarando, per
esempio: “Vivo en Spanglish. Trabajo en inglés, pero escribo, sueño, converso
con mi familia y me enojo en español. Además, en California la mitad de la
población es hispana o habla el idioma” [3].
Come sia stato ideato il romanzo
lo spiega ancora una volta l’autrice, sostenendo che El amante japonés
“[...] es una historia totalmente americana. Y
también de inmigrantes, porque eso es los que es Estados Unidos y lo que ha
sido siempre. La verdad es que caminaba por Nueva York con una amiga y me
empezó a contar la historia de su madre, que había tenido un jardinero
japonés, con el cual mantuvo una amistad de más de cuarenta años. Pensé: ‘Tendrían
que haber sido amantes’, a pesar de que eso no se dijo ni estaba admitido. Esa
fue la semilla de la historia. Me puse a investigar. Y se fue revelando el tema
de los campos de concentración en Estados Unidos donde fueron llevados los
japoneses que vivían en el país durante la guerra y perdieron todo lo que tenían.
Se los llamó ‘campos de internamiento’. Poca gente sabe de esa
historia” [4].
Ci ha colpito l’abilità
strutturale, con trasposizioni temporali costanti e i segreti di ciascun
personaggio rivelati solo verso il finale, nonché la variazione di registro tra
lettere e storia raccontata in terza persona.
Ci ha un po’ sorpreso che, per
convalidare l’eternità e il cosmopolitismo dell’amore, Allende abbia adottato, con
connotazioni positive, un personaggio che, malgrado l’affetto per l’amante
nipponico, gli nega un figlio in nome del successo e del lusso. Vero che
ciò provoca tormento spirituale, ma non si direbbe vero e proprio rimorso o pentimento...
In positivo, socialmente,
notiamo soprattutto l’empatia verso chi è sopravvissuto alle guerre, ha
sofferto per loro causa, ha subito un processo di sradicamento dal paese natale
e di radicamento altrove.
[Roberto Bertoni]
[1] “Entrevista con Isabel Allende, escritora”, El País, 4-6-2015.
[2] “Isabel Allende: "'Trump es muy peligroso' y podría llevar a la guerra a EE.UU.”, EFE, 12-10-2017.
[4] “Isabel Allende: ‘Sigo siendo irrespetuosa y feminista’”, Clarin,
24-5-2015.