27/05/17

Colin Rhodes, PRIMITIVISM IN MODERN ART




[Elephant Hunt (Hanoi Fine Arts Museum, 2016). Foto Rb]


Colin Rhodes, Primitivism in Modern Art. I edizione 1994. Londra, Thames and Hudson, 1997

Da tempo l’idea di “primitivo”, “selvaggio” (nelle connotazioni negative, non se usata con connotazioni positive come in Levi Strauss) e altre parole di questa serie semantica risultano politicamente scorrette. Personalmente abbiamo talora usato il termine “arcaico”; Rhodes adopera parecchie volte l’espressione “tribal people” e ascrive le connotazioni spregiative all’influsso culturale di Darwin, Haeckel e Spencer, col corollario che il “primitivo” sarebbe meno evoluto e valido del “civilizzato”, da cui la “missione civilizzatrice” dell’imperialismo occidentale e un aspetto anche del razzismo (p. 14). Accanto all’idea del “primitivo” come antecedente socio-antropologico della modernità, si pone il primitivismo della psiche e dell’infanzia, dal che il “folle” e il “fanciullo” rappresenterebbero stadi evolutivi cui rifarsi nella ricerca a ritroso delle origini.

Tuttavia, a differenza dell’Orientalismo, che a parere di Rhodes, in parte fondandosi su Said, vede il mondo non moderno dell’Oriente come inferiore a quello dell’Occidente, i primitivisti sono in sintonia con quel mondo e lo valutano in positivo per nostalgia archetipica e sociale, illusione che rappresenti un Eden incontaminato, infine che possa fornire i prototipi della creazione artistica.  

Rhodes passa in rassegna, con competenza e citazioni visive e di poetica particolarmente appropriate, alcune varianti del primitivismo. Ricordiamo in particolare l’illusione utopica ed esotica di Gaugin, la ricerca di forme pristine di Picasso, la simbolizzazione mitizzante dell’espressionismo, l’attingere alle tradizioni contadine fondendole con l’avanguardia come nel primo Malevich, il riferimento alle forme artistiche tribali di Arp e Moore, i richiami di Miro alle opere degli eschimesi dell’Alaska.


[Roberto Bertoni]