[Not Z as the end in these luggage tags, but A as a beginning of
the traveling alphabet... (Hong Kong 2016). Foto Rb]
C.S. Richardson, The End of the Alphabet. 1st edition 2007. Toronto, Anchor Canada
(Penguin Random House), 2008
Questo
libro voltairiano e minimalista tratta con eleganza, umanità e leggerezza non
superficiale l’argomento tabù della morte, senza soffermarsi sul decorso di una
malattia letale, né eroicizzare o. peggio, sentimentalizzare in modo deteriore,
la resistenza prima del decesso da parte del protagonista.
Si
mostra al contrario lieve per arguzia non pretenziosa, selettivo e parco nel
numero limitato di parole che usa: una decisione tutta controcorrente in questi
tempi di verbosità e romanzo-fiume, il cui elevato numero di pagine spesso non
aggiunge niente, anzi talora sottrae, al valore letterario.
I
dialoghi sono ridotti all’essenziale, con frasi brevi che vanno a capo e una
spiccata tecnica teatrale.
Lo
spunto narrativo è la notizia della fine nel giro di un mese, annunciata da parte di un
medico al protagonista Ambrose Zephyr nei giorni immediatamente antecedenti il
suo cinquantesimo compleanno. Ambrose decide di non abbattersi, anzi rifare
quanto ha già fatto in materia di viaggi e rassicurare con questo ritmo di
visite a città e paesi la moglie amata, Zipper.
Visitano
luoghi dalla A alla Z, da Amsterdam a Zanzibar e l’alfabeto si fa allegoria del
percorso di vita. Nella selva di citazioni esplicite e implicite, spesso
fornite con nonchalance e ironia, la fine di questo libro è la fine
della vita.
La fine è anche, in modo metaletterario, l’inizio del diario che la moglie tiene e la cui frase
iniziale, riprodotta nell’ultima pagina del romanzo, “This story is unlikely”
è, circolarmente, la prima frase del volume intitolato The End of the
Alphabet.
Un’intervista con l’autore chiarisce in parte la sua prospettiva esistenziale.
[Roberto
Bertoni]